RiconciliAzioni: prevenire e trasformare nonviolentemente i conflitti e riconciliare le parti
Ermete Ferraro, Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR)
1. Riconciliazione: una parola su cui riflettere
‘Riconciliazione’ è una parola da scoprire, che racchiude varie sfumature di significato. Trattandosi di un termine appartenente alla dottrina ebraico-cristiana, bisogna risalire ai vocaboli originari ed alla loro evoluzione semantica. Il concetto di ‘riconciliazione’ ricorre nella Bibbia otto volte: cinque nell’Antico Testamento e tre nel Nuovo. Nel primo caso lo troviamo nel Levitico, nel II libro delle Cronache e tre volte nei libri profetici (Ezechiele e Daniele) i, espresso in lingua ebraica tre volte da ַפר כ (kafar) e due da ָּטא ח (chatà). Il primo vocabolo, una radice primitiva, indicava letteralmente l’azione di ‘ricoprire’ (ad es. una strada col bitume) e in senso traslato quella di ‘perdonare’, ‘condonare’, ‘annullare’, ‘cancellare’ etc. Il secondo si riferiva ad azioni simili, come quella di ‘purificare’, ‘sopportare una perdita’, ‘espiare’, pur designando anche concetti come ‘sbagliare’ o ‘commettere peccato’. ii Nella versione originale del Nuovo Testamento, in lingua greca, questo concetto ricorre tre volte ed è utilizzato solo nelle Epistole: due volte nella II Lettera ai Corinzi ed una nella Lettera ai Romani. Il vocabolo utilizzato da Paolo di Tarso è καταλλαγὴ (katallaghé), col relativo verbo καταλλάσσω (katallàsso), il cui significato letterale denotava lo scambio commerciale, il cambio di monete, mentre in senso traslato connotava azioni come: ‘riconciliare qcn.’, ‘tornare nel favore di qcn.’, ‘essere riconciliato con qcn.’. Esso a sua volta derivava dal verbo allàsso – col prefisso preposizionale katà – che significava ‘trasformare’, ‘scambiare’, ‘rendere altro’ (àllos).
Ma è nella traduzione latina dell’intera Bibbia – la Vulgata di san Girolamo, cui sono ispirate le versioni successive – che compare la parola reconciliatio, alla base dei vocaboli usati negli idiomi neolatini (réconciliation, riconciliazione, reconciliaciòn, reconciliação, reconciliere…) ed anche in inglese (reconciliation), mentre in tedesco abbiamo Versöhnung, la cui radice sühne rinvia al concetto di ‘espiazione’ iii. In arabo il vocabolo- nome adoperato è توفيق (tawfiq, da una radice semitica che significa accettazione, conciliazione), mentre in hindi abbiamo सुलह (sulah, derivante da radice persiano-araba che indicava la pace, l’accordo).
Se dal tema del verbo reconciliare – che traduceva latinamente il kafàr ebraico ed il greco katallàsso – scorporiamo i prefissi preposizionali (re = di nuovo e cum = insieme), resta come cuore della parola il lessema –cili. Non tutti i dizionari etimologici concordano sul suo significato, attribuendolo ora ad antiche radici verbali (cillo /cilleo/cello), a loro volta derivanti dal greco kéllo (muovere, spingere), oppure da kaléo (chiamare). Nel primo caso ‘riconciliare’ significherebbe ‘spingere di nuovo insieme’; nel secondo ‘ri- chiamare insieme’, con una sfumatura che introduce comunque il ruolo d’un mediatore/conciliatore. Pertanto:
- il concetto veterotestamentario di ‘riconciliazione’ (kafàr/chatà) ha sicuramente a che fare col per-dono / con-dono delle azioni negative che hanno ferito una o tutte le parti in causa di un conflitto, grazie alla decisione di cancellare/ricoprire/azzerare quelle situazioni dolorose, senza escludere la espiazione del male provocato;
- nell’analogo concetto neotestamentario compare però un concetto nuovo: quello di trasformazione/scambio reciproco, come superamento d’una situazione conflittuale cercando un punto d’intesa ‘altro’, del tutto nuovo;
- il vocabolo latino non traduce alla lettera né quello greco ellenico né quello semitico e introduce il ruolo di chi svolge la mediazione fra parti in conflitto, limitandosi a ‘chiamarle’ o ‘spingendole’ ad un dialogo. Bisogna considerare poi che il prefisso latino re- ha un significato un po’ ambiguo, in quanto “esprime per lo più il ripetersi di un’azione nello stesso senso o in senso contrario” iv. Nel primo caso, la mediazione ripristinerebbe una situazione pre-conflittuale (con un ritorno al passato). Nel secondo condurrebbe ad una soluzione contraria se non opposta, comunque diversa e nuova.
Ma che cosa intendiamo oggi con questa parola? Secondo il dizionario di Repubblica, è definibile come: “Azione, risultato e modo del riconciliare o del riconciliarsi […] SIN. Rappacificazione” v. Molto simile la definizione del Dizionario Garzanti: “1. il riconciliare, il riconciliarsi, l’essere riconciliato; rappacificazione [+ con]” vi e quella del Corriere: “1. Ripresa di rapporti buoni o corretti dopo un litigio o una fase di distacco SIN rappacificazione; fine delle ostilità militari, politiche, ideologiche ecc.” vii. Non dissimili le spiegazioni fornite da Treccani (“1. rimettere d’accordo, far tornare in pace o in buona armonia…” viii) ed Hoepli (“1. conciliare di nuovo, mettere d’accordo, rappacificare…” ix). Non fornisce maggiori approfondimenti la consultazione del francese Larousse (“Action de réconcilier des adversaires, des gens fâchés entre eux; fait de se réconcilier…” x né degli inglesi Merrian-Webster (“to restore to friendship or harmony…” xi e Cambridge (“a situation in which two people or groups of people become friendly again after they have argued…” xii. In tutti i casi, infatti, la riconciliazione è definita come un’azione finalizzata a: (a) ri-prendere rapporti corretti; (b) ra-ppacificare soggetti in conflitto; (c) re-cuperare l’armonia perduta; (d) ri-pristinare rapporti amichevoli dopo una lite. Torna insistentemente il prefisso re-, che sottintende una ripetizione, un ritorno ad una situazione di partenza o comunque il rinnovamento d’uno stato precedente.
Ma è proprio questo il significato di ‘riconciliazione’ e del suo sinonimo ‘rappacificazione’? Si tratta di promuovere atteggiamenti e comportamenti che riportino soggetti in conflitto a precedenti rapporti di amicizia e accordo, oppure la ‘riconciliazione’ consiste in qualcosa di diverso e più profondo? Riconciliare’ e ‘riconciliarsi’, insomma, vuol dire fare passi indietro, verso un passato migliore da ripristinare, oppure darsi una prospettiva nuova, originale e che punta al futuro?
1. Riconciliar… e organizzar
Una spiegazione del termine ‘riconciliazione’ – e dei significati che trasmette – è stata proposta da Enrico Peyretti, filosofo-teologo e noto ricercatore per la pace italiano:
«Una riconciliazione è vera se avviene su base di verità (riconoscimento dei fatti) e di giustizia (riconoscimento dei diritti) […] Una semplice pace (pax = patto) non è detto che sia riconciliazione; può essere solo una transazione che spartisce vantaggi e svantaggi, per la riduzione del danno […] oppure può essere l’imposizione della volontà del vincitore sul vinto, quindi un atto violento che sancisce la disparità delle forze […] L’idea stessa di riconciliazione contiene una speranza, il ricupero di una conciliazione che c’è stata e si è incrinata, o perduta […] Riconciliarsi è incontrarsi di nuovo. Una vera riconciliazione è un orizzonte grande, è la ri-umanizzazione reciproca, negata dal rapporto di ostilità […] Una vera riconciliazione implica il perdono…cioè il consapevole superamento dell’ostilità, dell’odio, dei sentimenti distruttivi, delle immagini negative, cioè una trasformazione nonviolenta del conflitto» xiii.
Parole-chiave emergenti sono: verità, giustizia, speranza, recupero, incontro, perdono e trasformazione. Alcune guardano al passato (re-cupero di ciò che si è perduto, ri-stabilimento della verità, per-dono delle colpe…); una punta al presente (in- contro); altre ancora mirano ad una prospettiva futura (speranza, nel senso etimologico di ‘tendere verso’, e trasformazione, cioè modalità innovativa nel conflitto).
Il processo di riconciliazione, infatti, è un albero che affonda le proprie radici nel passato conflittuale, sviluppa il proprio fusto nel presente dell’incontro e del dialogo, ma dovrebbe protendere i rami verso il futuro di soluzioni alternative e del tutto nuove. Non sempre, quindi, riconciliare vuol dire ripristinare le relazioni precedenti, dando così per scontato che prima dell’emergere d’uno scontro sussistesse un rapporto ottimale. Dovremmo piuttosto analizzare i vari elementi dei conflitti (soggetti, interessi, valori contrapposti, contesti, cause e dinamiche), ricercando per loro soluzioni che non siano distruttive e violente ma costruttive e in-nocenti.
La riconciliazione comporta tre aspetti inscindibili, che integrano le dimensioni temporali di un processo dinamico e creativo: (1) analisi critica e autocritica delle esperienze passate negative; (2) sforzo di comprensione empatica per cercare, insieme e nel presente, un punto d’incontro e di mediazione; (3) esplorazione di atteggiamenti e comportamenti alternativi, per superare in futuro i possibili conflitti, senza nasconderli o esorcizzarli.
«Il problema non è il sorgere del conflitto ma l’affrontarlo come un problema condiviso. […] Le fonti del conflitto sono le seguenti: gli interessi (ciò che noi vogliamo e ciò che loro vogliono), i valori (come la realtà dovrebbe essere per noi e per loro e come noi crediamo e loro credono sia), le emozioni (cosa noi sentiamo e loro sentono), le identità (chi siamo noi e chi sono loro, in quanto appartenenti a dati gruppi sociali)» xiv.
Questo articolato processo – come ogni percorso di nonviolenza attiva – richiede tempo, preparazione adeguata e talvolta l’intervento di mediatori esterni. Ruoli non necessariamente professionali (sebbene esistano già figure riconosciute di mediatori linguistici, culturali o familiari), ma comunque svolti da soggetti qualificati ad una funzione così delicata, che richiede competenze specifiche e tecniche adeguate.
Ma se formazione addestramento e organizzazione sono indispensabili, è auspicabile che la conoscenza dei principi della nonviolenza e delle tecniche di gestione alternativa dei conflitti diventino un patrimonio sempre più comune e diffuso, introducendo riflessioni ed esperienze in tal senso già nel curricolo scolastico di base. È ciò che da anni sta facendo il gruppo di lavoro che, ispirandosi alle teorie sul superamento dei conflitti del ricercatore per la pace norvegese Johan Galtung, sta portando nelle scuole applicazioni specifiche del metodo Transcend, applicabili in primo luogo ai micro- conflitti, diffondendole un po’ dovunque xv.
Fatto sta che però la riconciliazione non è intesa da tutti allo stesso modo perché, se è vero che oggi si è più consapevoli che esistono svariati approcci ai conflitti, solo alcuni sono stati effettivamente praticati, come spiega lo stesso Galtung.
«Quando la parte in conflitto A fa violenza alla parte in conflitto B, entrambe risultano traumatizzate: la seconda dal male subìto, la prima dalla colpa di averlo causato. Le emozioni sono profonde. Lo scopo della riconciliazione è la guarigione delle ferite e la chiusura del conflitto, cosicché le parti siano meno traumatizzate e possano vivere insieme […] Scorrendo la lista degli approcci alla riconciliazione, ci accorgiamo immediatamente della tentazione di vedere il conflitto in termini di una singola causa, i cattivi attori, e la riconciliazione in termini di un solo approccio: quello giuridico-punitivo […] Un’altra forma è la risoluzione congiunta del conflitto, discutendo insieme la calamità che ha colpito tutti e progettando precorsi per prevenirne una ripetizione in futuro. Se questo approccio sarà attivato sia a livello delle élites, sia a livello popolare, sarà molto potente. Ma il meglio è ovviamente che il vincitore e lo sconfitto si mettano insieme per produrre una reale trasformazione del conflitto di base…» xvi.
La scuola potrebbe diventare un luogo privilegiato dove iniziare ad affrontare i conflitti in modo alternativo, quanto meno a livello interpersonale e comunitario. Ma nel nostro contesto socio-culturale registriamo che: (a) le competenze specifiche sono ancora poco diffuse; (b) la scarsa conoscenza di solidi presupposti teorici spesso dipende dalla mancanza di adeguata formazione degli operatori; (c) alcune esperienze già realizzate nelle nostre scuole sono state comunque poco condivise e pubblicizzate.
Succede per altri approcci alternativi ai conflitti, come la ‘Comunicazione Nonviolenta’ (CNV) dello psicologo M. B. Rosemberg, di cui un solo centro specializzato si è fatto portatore e sperimentatore nel nostro Paese xvii. Il processo di riconciliazione ha molto a che fare con un approccio psicologico alle situazioni conflittuali, per liberare la comunicazione dalle incrostazioni di condizionamenti, stereotipi, luoghi comuni ed espressioni offensive, facilitando la comprensione reciproca e lo sviluppo di competenze linguistiche improntate ad una vera ‘grammatica della pace’ xviii.
Bisogna uscire dall’equivoco che riconciliarsi sia solo un imperativo etico o un auspicabile atteggiamento di benevolenza e perdono. Per questo ed altri aspetti della nonviolenza, per dirla con don Tonino Bello, dobbiamo allora “organizzare la speranza”.
2. RiconciliAzioni di Pace
Nella solita logica binaria, perfino quando si parla di ‘pace’ e ‘riconciliazione’ si tende a contrapporre le tesi di chi le ritiene solo principi morali cui ispirarsi (e quindi fini), o solo metodi di azione (cioè mezzi). Ma questo approccio andrebbe superato dalla sintesi gandhiana in base alla quale la pace è sia il fine da raggiungere sia il mezzo per conseguirlo, mantenendoli coerenti. Per citare Aldo Capitini:
«Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, ma attraverso un’altra legge: “Durante la pace, prepara la pace”» xix.
Questo richiamo a ‘preparare’ la pace ci ammonisce a non fermarci alla visione idealistica di chi la ritiene solo un ‘dono’ del cielo e lo stesso Vangelo (Mt 5:9) ci esorta ad essere εἰρηνοποιοί (eirenopoiòi), costruttori di pace, non semplici amanti della pace. Ma per costruire la pace – e specificamente la riconciliazione – c’è bisogno di metodi e tecniche opportune, che vanno apprese, interiorizzate, ma soprattutto applicate nella pratica quotidiana. Dobbiamo abbandonare la logica binaria della contrapposizione, che blocca la comunicazione, per introdurre una relazione ‘ternaria’, in cui il ruolo del mediatore faciliti la comprensione e la cooperazione, bloccate dall’ostilità reciproca. La riconciliazione, come altri aspetti della trasformazione nonviolenta del conflitto, apre infatti uno “spazio di ri-creazione”, dove le ferite alla relazione possano essere curate e la comunicazione possa essere ripristinata.
«Un conflitto è una ragione di per sé sufficiente per essere preso seriamente in considerazione. Le persone stanno già soffrendo. Inoltre un conflitto è un invito alle parti in causa, alla società e al mondo intero ad andare avanti, affrontando di petto la sfida costituita dalle questioni sul tappeto, con un atteggiamento di empatia (verso tutte le parti), nonviolenza (anche per impedire lo sviluppo di meta-conflitti) e creatività (per trovare vie d’uscita). Il compito è trasformare il conflitto, verso l’alto, positivamente, trovando obiettivi stimolanti per ogni parte coinvolta, modi fantasiosi per combinarli, il tutto senza violenza. È l’incapacità di trasformare i conflitti che porta alla violenza…» xx.
La riconciliazione comunque – secondo lo schema di Galtung – riguarda la dimensione temporale successiva allo svilupparsi violento d’un conflitto e dopo la sua risoluzione, per ricostruire il rapporto infranto. Riconciliarsi, quindi, è la tappa finale di un lungo percorso di pacificazione, che inizia con la prevenzione della violenza, si basa sulla mediazione nonviolenta tra le parti in conflitto per trasformarlo e si conclude creando relazioni nuove mediante interventi di ‘riabilitazione’. Ma la riconciliazione può essere intesa anche come l’impostazione empatica, nonviolenta e creativa che può attivare e realizzare quello stesso processo di pace, cioè come un’attitudine preventiva.
Una formazione precoce, in tal senso, è legata ad esperienze di educazione alla pace e alla nonviolenza da realizzare in famiglia ed a scuola. Formare bambini e ragazzi a riconoscere i conflitti ed affrontarli in modo alternativo, cercando soluzioni che li ‘trascendano’, sarebbe infatti il modo migliore per prevenire conflittualità violente e distruttive e per sperimentare metodi alternativi e creativi. Il manuale prodotto sulla base di quelle proposte da Galtung – tradotto anche in italiano – è un ottimo esempio di come insegnare ai più piccoli che facciamo pace non è solo un buon proposito, ma un percorso da apprendere e sperimentare in prima persona, qui e ora.
«Quando si parla di SABONA si intende sia il progetto di trasformazione dei conflitti legato alla scuola e chi lo porta avanti, sia la metodologia, ossia i 7 strumenti mutuati dal metodo TRASCEND…[che] fornisce una vastissima serie di strumenti analitici e pratici per la trasformazione del conflitto, ossia per il cambiamento, offrendo soluzioni valide e creative a problemi che sembrano insormontabili. […] Trasformare i conflitti richiede la trasformazione della situazione che include e trascende i bisogni e gli obiettivi di tutte le parti […] per identificare gli obiettivi legittimi, i bisogni umani fondamentali e per arrivare a creare ponti tra obiettivi incompatibili, a vantaggio di una vera sicurezza, del rispetto, della dignità, dell’identità» xxi
Superare la conflittualità, quindi, significa far emergere obiettivi/finalità che sembrerebbero incompatibili, ma anche riconciliare interessi ed atteggiamenti apparentemente inconciliabili, immaginando insieme soluzioni ‘altre’, come suggeriva già l’etimologia del verbo greco kat-allàsso. Ma per superare il conflitto bisogna fare alcuni passi: (i) La prima scoperta è che, per bambini e adulti, dietro mezzi e modalità inaccettabili spesso si nascondono obiettivi del tutto legittimi. (ii) Il secondo elemento da mettere in luce è che ad essere incompatibili sono gli obiettivi, non certamente le persone. (iii) Il terzo aspetto è che, se verità e prospettive differenti possono (e spesso devono) coesistere, ciò non significa che tutti i desideri o tutti i metodi siano ugualmente legittimi ed accettabili.
Dati però obiettivi legittimi ed eticamente positivi – tutti quelli che attengono alla dignità di ogni persona, salvaguardandone la vita, la salute, la libertà, l’identità – resta il fatto che spesso i conflitti si scatenano sulla loro conciliabilità con obiettivi legittimi e buoni di altri soggetti. Talvolta, invece, la realizzazione di desideri di per sé accettabili è stata perseguita con mezzi negativi, che ledono valori, interessi e sensibilità altrui. Il gruppo di lavoro sulla trasformazione del conflitto, ispirato da Galtung, ha proposto queste metodologie nel contesto scolastico, formando insegnanti ed alunni a non lasciarsi bloccare dalla distruttività di molte relazioni conflittuali.
3. Sette passi per ‘trascendere’ il conflitto
Il metodo Sabona – nome mutuato dalla lingua zulu – ha individuato sette metodi per affrontare in modo alternativo e costruttivo i conflitti, applicandoli anche alle relazioni che si sviluppano all’interno d’un contesto scolastico. Il metodo prevede che alla crisi segua una pausa di elaborazione, utilizzando queste sette ‘formule’ per riflettere sulla realtà attuale del conflitto e su quella futura, l’ideale.
- analisi dell’incompatibilità dei fini e/o dei mezzi;
- netta distinzione tra fini e mezzi;
- utilizzazione del triangolo ABC, ai cui ‘angoli’ ci sono: atteggiamenti, comportamenti e contraddizioni;
- impiego del c.d. tappeto del riordino, proiettando i conflitti sia sul piano temporale (passato-futuro) sia su quello qualitativo (negativo-positivo);
- ricorso allo schema a cinque soluzioni, che supera (trascende) il livello del conflitto passato, marcato dall’antinomia vittoria vs sconfitta, individuando due soluzioni sullo stesso piano passato-presente (‘ritirata’ e ‘compromesso’), ma soprattutto una del tutto nuova e alternativa, proiettata in alto, sul piano del futuro;
- utilizzo della scala delle soluzioni, che ipotizza tre livelli operativi: (1) base, dove si fa la ‘mappatura’ del conflitto, individuando le parti in causa e i loro obiettivi; (2) intermedio, nel quale sono ‘legittimati’ sia i fini sia i mezzi; (3) alto, dove si ‘trasferisce’ il conflitto nel futuro, costruendo ‘ponti’ tra gli obiettivi legittimi delle parti in conflitto;
- adozione della croce della conciliazione, schema che sintetizza gli altri, individuando l’intersezione tra asse verticale (passato negativo > futuro positivo) ed orizzontale (colpa > vergogna) – dove si realizza l’atto della riconciliazione, sciogliendo il doloroso nodo d’una contrapposizione distruttiva per tutte le parti.
Questi sette ‘passi’ del percorso per uscire dalla trappola del conflitto negativo culminano così nella ricostruzione del rapporto e nella riconciliazione tra parti antagoniste. Nessuno vince o perde ed il peso della colpa di chi ha ferito trova una cura esattamente come la vergogna di chi è stato ferito. Il negativo del conflitto passato non è occultato né esorcizzato ma analizzato attentamente, per far emergere gli obiettivi reali di ciascuna parte, aprendo le porte ad una loro possibile conciliazione.
Infine, nella ricerca nel presente di una soluzione ‘altra’ da proiettare nella dimensione futura, non bisogna trascurare timori, dubbi e perplessità delle parti. In tal modo vengono affrontati insieme, con spirito empatico e sano realismo, i possibili effetti delle scelte congiunte che ci si prepara a fare. Ovviamente non basta enunciare principi. Dobbiamo applicarli alla vita reale, sperimentando approcci diversi ai conflitti, grandi e piccoli, che tutti noi ci troviamo ad affrontare. Spesso si tratta di prevenirli, riflettendo sulla coerenza tra fini da raggiungere e mezzi utilizzati per farlo. Soprattutto bisogna imparare a comunicare evitando la violenza di giudizi, pretese ed espedienti retorici che occultano le vere intenzioni. È l’educazione linguistica nonviolenta che può aiutarci a non usare le parole per nascondere, dividere e reprimere anziché chiarire, unire e far esprimere. È la comunicazione nonviolenta ed empatica che ci spinge ad osservare i fatti, comprendere i bisogni inespressi e cogliere le richieste, evitando valutazioni, incomprensioni e pretese. La riconciliazione resta dunque il traguardo finale, per liberarci dal peso di relazioni compromesse e per curare le ferite lasciate dai conflitti che non siamo riusciti ad evitare né a gestire. Una terapia che può e deve diventare prevenzione, affinché da rimorsi, rimpianti, rinfacci e rimproveri non nascano altri e più profondi conflitti.
4. Note e indicazioni bibliografiche
i Cfr. ‘Reconciliation’ in Blue Letter Bible. https://www.blueletterbible.org/search/search.cfm?Criteria=Reconciliation&t=KJV#s=s_primary_0_1 ii Cfr. in Blue Letter Bible. https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=H3722&t=KJV e https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=H2398&t=KJV
iii Cfr. ‘Versöhnung’ in Digitales Wörterbuch der deutschen Sprache. https://www.dwds.de/wb/Vers%C3%B6hnung
iv Cfr. ‘re-‘ in Treccani – Vocabolario online. http://www.treccani.it/vocabolario/re/
v Cfr. ‘Riconciliazione’ in https://dizionari.repubblica.it/Italiano/R/riconciliazione.html
vi Id. in https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=riconciliazione
vii Id. in https://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/R/riconciliazione.shtml
viii Id. in https://dict.numerosamente.it/definizione/riconciliare
ix Id. in https://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/R/riconciliare.aspx?query=riconciliare
x Id. in https://www.larousse.fr/dictionnaires/francais/r%C3%A9conciliation/67102
xi Id. in https://www.merriam-webster.com/dictionary/reconciling
xii Id. in https://dictionary.cambridge.org/dictionary/english/reconciliation
xiii PEYRETTI, E., “Appunti sulla nozione di riconciliazione” in AA.VV., Teoria e pratica della Riconciliazione, Torre dei Nolfi (AQ), Ed. Qualevita, 2008, pp. 35-36 (sottol. mie)
xiv OPER. PACE CAMPANIA (a cura di), Guida pratica alla trasformazione dei conflitti, Napoli, 2011
xv GALTUNG, J., La trasformazione del conflitto con mezzi pacifici, Torino, 2006, traduz. ital a cura del Centro ‘Sereno Regis’, scaricabile anche dal suo sito (http://serenoregis.wpengine.netdna-cdn.com/wp- content/uploads/2015/12/Johan-Galtung-La-trasformazione-dei-conflitti-con-mezzi-pacifici-web.pdf ). Una sintesi ne è: “Transcend-Galtung: mediazione/soluzione di conflitti-1958-2018” (http://serenoregis.org/2018/11/30/transcend-galtung-mediazione-soluzione-di-conflitti-1958-2018- johan-galtung/ ).
xvi GALTUNG, op. cit., pp. 172-173 (sottol. mie)
xvii Cfr. ROSEMBERG, M.B., Comunicare con empatia, Reggio E., Ed. Esserci, 2011 e ID., Le parole sono finestre (oppure muri): introduzione alla comunicazione nonviolenta, Reggio E., Ed. Esserci, 2017. Il Metodo della CNV® è stato diffuso in Italia attraverso altre pubblicazioni, corsi e seminari promossi dallo stesso Centro Esserci. https://www.centroesserci.it/
xviii Cfr. FERRARO, E., Grammatica di pace. Otto tesi per la educazione linguistica nonviolenta, Torino,
Satyagraha, 1984. V. anche: FERRARO, E. – DE PASQUALE, A., “Una grammatica della pace, per
comunicare autenticamente e senza violenza”, in SAFFIOTI, R. (a cura di), Piccoli Comuni fanno grandi cose! Pisa, Centro Gandhi Edizioni, pp.187-198 (scaricabile anche da: https://ermetespeacebook.blog/2018/02/17/una-grammatica-della-pace-per-comunicare-senza- violenza/ )
xix CAPITINI, A., Le tecniche della nonviolenza, Milano, Feltrinelli, 1967 (Roma, Edizioni dell’asino, 2009)
xx GALTUNG, op. cit., p. 18
xxi AA.VV., Sabona – Alla ricerca di buone soluzioni; imparare a risolvere i conflitti (Quad. Satyagraha n.
33), Pisa, Centro Gandhi ed., 2018, pp. 7…10 (sottol. mie).
Il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione), il cui acronimo inglese è IFOR (International Fellowship of Reconciliation), è un movimento internazionale, a base spirituale, composto di donne e uomini che sono impegnati nel praticare la nonviolenza attiva come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e mezzo di trasformazione personale, sociale, economica e politica. Nel 1952 Tullio Vinay e Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri), promuovono la nascita del MIR in Italia, che si impegna da subito per la diffusione della teoria e prassi della nonviolenza. Il MIR italiano ha scelto come simbolo il charkha, l’arcolaio a ruota per filare il cotone. Gandhi chiedeva a tutti gli indiani di tessere da se stessi il cotone per rivalutare il lavoro manuale perché, attraverso la tradizionale attività artigianale, tutti potessero guadagnarsi il pane: per questo ne aveva fatto il simbolo della nonviolenza. Un richiamo alla semplicità di vita, ad un lavoro senza sfruttati e sfruttatori, rispettoso dell’ambiente; il modello di vita da perseguire.
Ermete Ferraro (Napoli, 1952) è laureato in lettere moderne ad indirizzo linguistico ed ha conseguito anche il diploma di assistente sociale e quello di operatore pastorale. Dopo il servizio civile come obiettore di coscienza ed un decennale impegno quale operatore socio-educativo in un centro sociale di comunità, per oltre un trentennio ha insegnato discipline letterarie nelle scuole medie, occupandosi anche di disagio scolastico. Di formazione nonviolenta, dagli anni ’70 si è impegnato nell’ambito della ricerca sulla pace, dell’educazione alla pace e dell’azione per la pace, facendo parte di varie organizzazioni fra cui il Movimento Internazionale della Riconciliazione (M.I.R.), storica associazione nonviolenta di cui è attualmente vicepresidente. Dagli anni ’80 attivista ecologista ed esponente dei Verdi – che ha rappresentato alla Circoscrizione Vomero (1987-97) e alla provincia di Napoli (1990-95) – è tuttora membro del Comitato Esecutivo dell’associazione Verdi Ambiente e Società (V.A.S.), di cui è referente nazionale per l’ecopacifismo. Autore di varie pubblicazioni saggi ed articoli, è collaboratore e redattore del periodico Nuova Verde Ambiente, per il quale cura la rubrica “Cara Pace. Riflessioni ecopacifiste”.