Don Lorenzo Milani, sacerdote, educatore e testimone di pace
Vincenzo Pezzino, Pax Christi Italia
1. Note biografiche
Don Lorenzo Milani Comparetti (di seguito don Milani) nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia agiata e colta. Dopo un primo interesse per la pittura, il giovane Lorenzo vive un intenso momento spirituale che lo porta ad entrare in seminario nel 1943. Ordinato sacerdote nel 1947, viene inviato a San Donato di Calenzano, nei pressi di Firenze, come cappellano coadiutore di un anziano parroco, don Daniele Pugi, che lo prende a benvolere e sarà sempre dalla sua parte.
Consapevole dell’importanza della cultura per una speranza di riscatto sociale, organizza con grande determinazione una scuola popolare per contadini e operai. La novità assoluta della scuola e dei suoi contenuti, unitamente al carattere non facile del giovane cappellano fa però sorgere presto diffidenza e ostilità. La morte dell’anziano parroco è l’occasione nel 1954 per trasferire don Milani a Barbiana, una sperduta frazione di montagna nel comune di Vicchio, nel Mugello, sempre in provincia di Firenze. E’ il chiaro segnale di un vero e proprio esilio, per sbarazzarsi di un pericoloso insegnamento cattolico, “fuori dai binari”.
L’opera di don Milani a San Donato è ben illustrata nel suo libro “Esperienze Pastorali”, pubblicato nell’aprile del 1958 (quando si è già da tempo stabilito a Barbiana), con una prefazione lusinghiera di un vescovo (mons. Giuseppe D’Avack), con il nullaosta del revisore ecclesiastico padre Reginaldo Santilli e l’imprimatur del vescovo di Firenze cardinale Dalla Costa. Tuttavia, nonostante queste approvazioni ecclesiastiche, ben presto la scure del Sant’Uffizio si abbatte sul libro, che viene ritirato dal commercio nel dicembre 1958, perché ritenuto inopportuno.
La destinazione a Barbiana è vissuta da don Milani con il suo personale stile di obbedienza: il giorno dopo il suo arrivo compra il terreno per la sua tomba, indicando così che quella è la sua sede definitiva e accettando senza tentennamenti di continuare la sua missione in quel luogo in apparenza così inadatto al suo ministero. Il nuovo “priore” di Barbiana fonda una scuola a tempo pieno per i ragazzi delle famiglie circostanti, il cui destino di miseria, in assenza di opportunità per una vita migliore, sarebbe stato altrimenti inevitabile. Nella scuola, oltre che singole materie, viene insegnata la vita, con l’aspirazione ad un futuro più degno e consapevole. Non vi è selezione, ma la meta comune per tutti è un livello accettabile di istruzione. La scuola suscita interesse e viene spesso visitata da persone attratte dal modello pedagogico del priore di Barbiana. Alla fine dell’anno scolastico gli alunni di don Milani vanno a sostenere gli esami “da esterni” nella sede più vicina. Dal disappunto per delle bocciature immeritate prende origine, come esempio di una “scrittura collettiva”, la “Lettera a una professoressa”, una spietata analisi e denuncia delle carenze dell’insegnamento istituzionale, che viene pubblicata solo nel 1967, poco prima della morte (alcuni passaggi graffianti vengono riportati in calce a questa scheda).
Nel 1965, già da tempo sofferente e consapevole di un male allora incurabile, in risposta ad un comunicato dei cappellani militari toscani che tacciavano di viltà gli obiettori di coscienza al servizio militare, scrive “L’obbedienza non è più una virtù” (di cui vengono riportati alcuni brani significativi in calce a questa scheda). Oltre ad un’aspra critica dal versante ecclesiastico, ne nasce una reazione che porta ad un processo penale per apologia di reato, nel quale viene assolto. Paradossalmente, alcuni mesi dopo la sua morte, nel processo d’appello don Milani viene invece condannato. Il reato, tuttavia, “è estinto per la morte del reo”!! Fortunatamente, essendo già deceduto, quest’ultima ferita gli viene risparmiata.
Muore il 26 giugno 1967, a soli 44 anni.
2. Le Esperienze Pastorali a San Donato di Calenzano
Nel suo nuovo ambiente di San Donato di Calenzano don Milani prende contatto con una povertà economica e culturale, che divide e contrappone artificiosamente il mondo della tradizione cattolica, perlopiù benestante, e quello delle rivendicazioni comuniste portate avanti da operai e contadini. Il giovane prete ha però una guida infallibile, il Vangelo, in sé rivoluzionario e sempre in favore dei poveri e degli emarginati. Comprende l’importanza della cultura, per creare libertà, responsabilità e stimolare la ricerca della verità, sempre al fianco dei più deboli, per abbattere i muri tra “buoni” e “cattivi”. Con volontà ed energia inesauribili organizza pertanto una scuola popolare per operai e contadini. Il suo linguaggio nuovo, inusuale per un sacerdote, scuote le coscienze e fa affluire in canonica credenti, non credenti e militanti di ogni partito, tutti uniti dalla speranza di un riscatto sociale. Vengono organizzati anche dibattiti su temi di attualità. La scuola rompe con i vecchi schemi e alle critiche, che non si fanno attendere dentro e fuori la curia, don Milani risponde con parole sempre taglienti e tutt’altro che accomodanti. La formazione di una coscienza critica non si ferma ad esposizioni teoriche. Don Milani guida i giovani che lo seguono con entusiasmo ad applicare nel sociale i principi evangelici. Non solo aiuta gli orfani di un collegio a fare i compiti, ma si realizzano anche forme di sostegno materiale per loro e per altre persone bisognose. Si batte per l’inserimento sociale e scolastico di un gruppo di nomadi saltimbanco (da cui il nomignolo di “prete degli zingari”) e a favore di famiglie sfrattate in cerca di un’abitazione. Don Milani conduce una vita molto spartana, si mescola totalmente in mezzo alla gente comune, che entra ed esce dalla sua abitazione liberamente per consigli o altro, inventa delle rappresentazioni teatrali, assiste qualche malato in condizioni critiche. Questa novità dirompente non può piacere al tradizionale mondo cattolico e diviene presto motivo di conflitto. Non viene tollerato che fedeli e non credenti vengano messi sullo stesso piano e neanche che siano smascherate le bugie dei politici in tempo elettorale. All’accusa di essere divisivo con i suoi toni irruenti e poco diplomatici, risponde di aver “trovato la popolazione già divisa” e di avere “solo scelto da che parte stare”, cioè dalla parte dei poveri. Si attira pertanto l’ostilità dei benpensanti del paese e anche dei preti della zona, che indirettamente sentono il loro operato, alquanto diverso, messo sotto accusa. Questi contrasti portano a un richiamo da parte del cardinale Dalla Costa, non già per motivi dottrinali o di mancata obbedienza, ma per impedirgli di manifestare i suoi consigli in occasione di una tornata elettorale amministrativa, ritenendo inopportuno il suo modo cristiano di vedere le cose. Per quanto amaramente, come sempre, don Milani obbedisce e tace pubblicamente, pur rammaricandosi con il cardinale, per lettera. Ma è solo una tappa del conflitto, che perdura negli anni seguenti. Così, alla morte dell’anziano parroco, contrariamente alle aspettative della gente comune che avrebbe voluto la sua permanenza a San Donato, Don Milani viene invece trasferito in quella che sarà la sua sede definitiva, Barbiana, un paesino di montagna di poco più di cento abitanti sparsi qua e là, posto su un fianco del monte Giovi, sull’Appennino toscano, nel comune di Vicchio. A nulla valgono le proteste dei parrocchiani, anche per iscritto, al cardinale. Don Milani, naturalmente, obbedisce e nel dicembre 1954, in una giornata di pioggia, approda a Barbiana.
3. Primi passi a Barbiana
A Barbiana don Milani porta con sé Eda e la mamma di lei Giulia, che da molti anni accudivano la canonica di San Donato e il vecchio parroco.
L’esordio e le condizioni ambientali dei primi giorni sono scoraggianti. A parte l’arrivo sotto la pioggia, che deteriora i pochi mobili, trasportati con un camioncino fino ai piedi di un sentiero percorribile solo a piedi, la canonica e la chiesa, isolate nel bosco, appaiono alquanto trasandate. Non c’è elettricità, non c’è acqua corrente, per non parlare del servizio igienico. Arrivato fradicio di pioggia, don Milani entra nella piccola chiesa e si raccoglie in preghiera. Ha già deciso che in quel luogo solitario e silenzioso ricomincerà il suo lavoro pastorale per dare dignità umana e religiosa agli abitanti di quei monti e che sarà per sempre il parroco di Barbiana. Il giorno dopo, infatti, a sorpresa si reca nel comune di Vicchio per acquistare un pezzetto di terreno nel piccolo cimitero di Barbiana, dove ha già stabilito di essere seppellito.
Nei giorni successivi si dedica al miglioramento delle condizioni della casa, in quest’opera aiutato da giovani di San Donato a lui affezionati, i quali portano anche generose vivande per sopperire alle iniziali esigenze alimentari.
In questi primi giorni don Milani visita le famiglie del territorio per fare conoscenza, mostrandosi premuroso e disponibile. Prende così contatto con la loro miseria ed emarginazione. Sono perlopiù famiglie che lavorano a mezzadria, su terreni di cui altri sono proprietari: un po’ di agricoltura, un po’ di allevamento e legna dei boschi, il tutto con mezzi primitivi e con enormi fatiche. In breve tempo, tra comprensibili difficoltà, convince le famiglie di quei montanari a mandare i propri figli a scuola da lui gratuitamente, anche a prezzo di rinunciare all’aiuto che quelle braccia potevano portare alla loro povera economia. In un caso, dal momento che la chiesa possiede un podere lì attorno, dice al contadino che può tenere per sé tutto il ricavato, purché in cambio gli mandi i suoi figli a scuola. Rimuove inoltre le recinzioni della casa perché la sua abitazione è aperta a tutti e invita volentieri a mangiare con lui i contadini che l’aiutano nella sistemazione della casa e della chiesa. Cadono così tutti gli steccati, materiali e figurati, tra il prete e il suo nuovo popolo. Ancora di più si accorciano le distanze quando una decina di giovani inizia in canonica la scuola serale, dopo aver lavorato tutto il giorno tra campi e boschi.
Già il primo Natale trascorre in serenità. Ben presto è costretto a fare due classi serali, facendosi aiutare dai più grandi. Non è ancora la “scuola di Barbiana” a cui ci si riferisce come modello pedagogico, ma ne rappresenta già la condizione di base.
Don Milani impara velocemente a capire quei montanari ricchi di qualità nascoste che non potevano emergere per mancanza di cultura e diviene così per essi un punto di riferimento rispettato da tutti. Si immerge totalmente in quel mondo di poveri, dei quali egli è ora il sacerdote, il padre, il maestro.
4. La scuola di Barbiana, località sperduta in provincia di Firenze
Per offrire una prospettiva di futuro e di lavoro migliore, nel 1956, inizialmente con sei ragazzi, viene inaugurata la scuola di Avviamento professionale (non c’era ancora la scuola media unificata), quella che più propriamente viene chiamata la “scuola di Barbiana”. E’ a tempo pieno, dalla mattina alla sera, con un intervallo per il pranzo, 365 giorni all’anno, niente feste, niente vacanze. La scuola è nella canonica, dove ogni stanza è un’aula. Il pianterreno è il laboratorio, dove compaiono gradualmente un banco da falegname, delle morse, un’incudine, un banco da intaglio, un tornio a legno, attrezzi vari. Là si costruisce di tutto, da tavoli, sedie e scaffali a diversi strumenti didattici.
Don Milani è ben consapevole che non può insegnare tutto da solo. Naturalmente si occupa delle materie umanistiche e, entro certi limiti, di matematica e scienze. Per l’insegnamento dei mestieri dell’officina cerca e ottiene l’aiuto di diversi artigiani: un falegname e un fabbro vengono coinvolti nella scuola per insegnare a lavorare il legno, il ferro e a fare le saldature. Un suo particolare collaboratore, il prof. Agostino Ammannati, lo aiuta nell’insegnamento della lingua italiana. Successivamente collabora con lui la professoressa Adele Corradi, insegnante di lettere e latino. Riceve volentieri persone che vengono a visitare la scuola, ma solo in funzione di come l’ospite può essere utile alla formazione dei ragazzi sfruttando le sue competenze.
Mentre questi primi sei ragazzi prendono la licenza di avviamento professionale, gli studenti aumentano e don Milani, non potendo insegnare a tutti contemporaneamente, fa in modo che i più grandi aiutino i più piccoli. In particolare i sei diplomati, che continuano a frequentare per completare la formazione con lo studio delle lingue straniere, si fanno carico di alcune materie per gli studenti al primo e secondo anno di Avviamento professionale.
Tutto a Barbiana serve a fare scuola e bisogna impiegare bene il tempo “perché è un dono di Dio e non torna indietro”. E’ frequente la lettura del giornale, per ragionare sulle notizie, formare una coscienza critica ed educare alla libertà di pensiero. Le lezioni sono in genere un lavoro di gruppo e gli studenti vanno avanti insieme nello studio, mentre i più bravi aiutano chi fatica di più nell’apprendimento. La scuola quindi non fa “selezione”, ma permette a tutti di arrivare a quel livello di istruzione che annulla le differenze con i ragazzi avvantaggiati da una miglior condizione sociale.
Le diverse materie hanno anche la finalità di arricchire il vocabolario dei ragazzi, di aumentare la loro capacità di comunicare, di approfondire tutto, di dilatare gli orizzonti, quindi di capire e, in ultima analisi, di affrancarsi dalla loro condizione di ultimi, attraverso la cultura e la consapevolezza dei loro diritti sociali.
Pur senza avere alcuna competenza specifica di insegnante di scuola o di programmazione didattica, don Milani sviluppa così un metodo pedagogico originale che prevede un coinvolgimento totale e a 360 gradi. Da una chiesetta sperduta di montagna, probabilmente destinata alla chiusura, si propaga nel tempo e nello spazio un modello educativo che diventa per tanti un esempio da seguire.
Impronta indelebile dello spirito della scuola di Barbiana è la frase impressa sulla porta dell’aula, in Inglese: “I care”, cioè “mi importa, mi interessa, mi sta a cuore”, facilmente contrapposta al motto fascista “me ne frego”.
5. Attività insolite alla scuola di Barbiana
A Barbiana si vivono le esperienze più svariate: gite istruttive a Firenze e a Roma, costruzione di un astrolabio per studiare le stelle, lezione di canto, sviluppo e stampa di fotografie, decorazione delle finestre della chiesa con pezzetti di vetro colorato a comporre un grande mosaico, persino un incontro con un pastore valdese (anteprima di dialogo ecumenico?). Una di esse, molto particolare e pure occasione di riscatto per studenti poveri di montagna, è la costruzione di una piscina, che viene effettivamente scavata e realizzata nel 1962 (2 metri per 8, profonda 1,3 metri). I ragazzi così vincono la paura dell’acqua, imparano a nuotare e comunque hanno un’occasione di divertimento.
Altra singolare esperienza a cui don Milani spinge i suoi allievi, dopo una opportuna fase di studio delle lingue, sono le trasferte all’estero, per completare la maturazione conoscendo cultura e modi di vivere di altri Paesi. Vengono però adottate delle misure precauzionali, come avere con sé certificati di vaccinazione, gruppo sanguigno e indirizzi di persone a cui eventualmente rivolgersi nel Paese straniero. A tali amici don Milani invia anche lettere per metterli a conoscenza dei viaggi dei suoi protetti. Muniti di un frasario e di un vocabolario essenziale, i ragazzi si guadagnano da vivere con lavoretti occasionali e soprattutto devono scrivere spesso per raccontare l’esperienza che stanno vivendo. Con queste modalità persino delle ragazze vanno all’estero, per esempio presso famiglie.
6. Don Milani e le autorità ecclesiastiche
Il rapporto con i cardinali Elia Dalla Costa prima, e Ermenegildo Florit dopo, è fonte di grande sofferenza per don Milani, che non sente riconosciuto dai suoi superiori il suo ruolo di padre e pastore in seno alla Chiesa e teme di essere interpretato come un eccentrico che svolge il suo ministero come un fatto privato. Dalla Costa lo richiama per due volte, in occasione di tornate elettorali, perché ritiene non consona alle aspettative cristiane la visione che don Milani offre ai fedeli, incentrata sulla giustizia sociale e sulle falsità dei partiti di qualunque orientamento politico. Il cardinale è probabilmente influenzato dal clima di discredito che circonda il giovane cappellano che opera a San Donato, alimentato dai preti di quella zona, che gli sono sempre più ostili. Lo destina così a Barbiana, isolandolo per renderlo innocuo.
Anche il cardinale Florit manifesta subito contrarietà dopo la pubblicazione di “Esperienze Pastorali”, quando don Milani è già da alcuni anni a Barbiana. Lo considera una nota stonata nel clero, quindi giustamente emarginato dalla curia. Ad una lettera appassionata di don Milani, già ammalato, nel 1964, in cui gli chiede un segno di riconoscimento del suo operato in comunione con la Chiesa, risponde solo due anni dopo, limitandosi a sottolineare i toni polemici e irrispettosi del sacerdote, senza comprenderne l’intimo travaglio e attribuendogli addirittura “zelo fustigatore privo di carità pastorale”. Non sortisce miglior risultato un successivo colloquio privato, a Barbiana, con don Milani a letto, prostrato dalla malattia. La distanza tra loro è incolmabile e il cardinale dimostra di non aver capito nulla del suo sacerdote.
7. Eda, nonna Giulia e la madre di don Milani
Eda Pelagatti, la governante della canonica di San Donato, e la madre Giulia Lastrucci (nonna Giulia) si affezionano subito a don Milani e lo seguono anche a Barbiana. Nella nuova sede hanno iniziali momenti di scoraggiamento, ma poi si adattano alla nuova situazione e contribuiscono non poco al buon andamento della vita in canonica, con la sua trasformazione in scuola e in mezzo al chiasso dei ragazzi. Ad Eda sono affidate la gestione della casa, la pulizia della scuola e della chiesa. Attraverso i contatti con le famiglie di Barbiana allenta eventuali tensioni, spiega e smussa malintesi. Ogni volta che se ne presenta l’occasione le due donne difendono a spada tratta l’operato del priore. Come don Milani, sono sepolte entrambe nel piccolo cimitero di Barbiana.
Alla madre, Alice Weiss, atea e di famiglia ebraica, don Milani confida sempre tutto, gioie e angosce, per l’intera durata della sua vita. Lei accetta le scelte del figlio, anche se lontane dai suoi valori. È sempre pronta ad ascoltare, comprendere, consigliare. Il loro forte legame è chiaramente espresso in un lungo carteggio epistolare. A causa della malattia, Don Milani trascorre gli ultimi mesi di vita a Firenze, tra l’ospedale e la casa paterna, assistito proprio dalla madre, oltre che dal fratello Adriano, medico, dal padre spirituale don Raffaele Bensi, da ragazzi barbianesi e da Eda, a turno.
8. Alcuni allievi di don Milani diventati adulti
A riprova dei buoni risultati della scuola di Barbiana, i suoi allievi, diventati adulti, conducono una vita più che dignitosa. Alcuni svolgono ruoli di rilievo nella società.
In particolare, Michele Gesualdi, uno dei primi sei ragazzi di Barbiana, è presidente della Provincia di Firenze dal 1995 al 2004, ed è autore, tra gli altri libri, di “Don Lorenzo Milani
– L’esilio di Barbiana” (Edizioni San Paolo, 2016). Presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani, muore nel 2018.
Il fratello, Francesco Gesualdi (“Francuccio” alla scuola di Barbiana), saggista, è fondatore del “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” di Vecchiano (Pisa), centro di documentazione che si occupa di diritti umani. E’ autore di numerosi libri, ma ci piace ricordare, anche se compare solo la denominazione del centro di documentazione e non il suo nome, la “Lettera a un consumatore del nord” (EMI, 1990).
9. Le parole di don Milani
Per comprendere nel modo migliore la figura di don Milani, nulla può essere più utile delle sue stesse parole, come appaiono nelle molteplici lettere che ci ha lasciato e nei suoi scritti, oltre a quelle riferite da testimoni diretti.
Nonostante la totale appartenenza alla Chiesa, le motivazioni profonde che portano don Milani alla vocazione del ministero sacerdotale non sono ben conosciute, né possono essere desunte da sue parole. La sua chiamata a Dio può essere letta soltanto attraverso la vita che vive. In modo forse originale, ha una vera passione per il sacramento della confessione, perché con la cancellazione dei “debiti” si prova la gioia del perdono.
Ecco di seguito alcune sue parole.
A San Donato di Calenzano, a chi gli osserva che lui insegna anche ai comunisti, risponde: “Io insegno il bene e ad essere una persona migliore; se poi continuerà a rimanere comunista, sarà un comunista migliore”.
All’inizio del soggiorno a Barbiana, don Milani risponde in modo duro (secondo il suo stile) alla madre che gli raccomandava di non impegnarsi a stare lì a lungo e a don Bensi che lo invitava a considerare quella sede come provvisoria. Alla madre dice, tra l’altro: “La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose. E neanche le possibilità di fare del bene si misurano dal numero dei parrocchiani”.
Nel 1964, già malato, don Milani scrive una lunga e appassionata lettera al cardinale Florit, in cui fa un resoconto di tutto il suo ministero svolto nella più stretta ortodossia cattolica, chiedendogli un riconoscimento pubblico del suo operato:
“Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…
Le propongo una soluzione pratica. Mi inviti lei personalmente a tenere delle lezioni o conversazioni di pratica pastorale al Seminario Maggiore… Le chiedo solo di dire ai seminaristi che nella Casa del Padre ‘mansiones multae sunt’ e che una di esse generosa e ortodossa fino allo spasimo è stata quella del prete che ella ha fino ad oggi implicitamente insultato e lasciato insultare”.
In punto di morte, nel testamento, riferendosi ai suoi ragazzi:
“Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma spero che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia iscritto tutto a suo favore”.
Ancora in punto di morte:
“In questa stanza c’è un cammello che passa dalla cruna dell’ago”.
Probabilmente si riferisce al fatto che sta per andare in paradiso, nonostante che sia ricco di nascita, contraddicendo così il detto di Gesù “E’ più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago che un ricco vada in paradiso”.
Da “L’obbedienza non è più una virtù”, rivolto ai cappellani militari toscani, sul concetto di patria, afferma:
“Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.”
E ancora, ripercorrendo la storia, a proposito della prima guerra mondiale:
“Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una ‘inutile strage’? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza, ma d’un Papa)”.
Da “L’obbedienza non è più una virtù”, nella lunga “Lettera ai Giudici”, 18 ottobre 1965, in cui spiega che non può essere presente al processo a causa della malattia, dice tra l’altro, a proposito delle responsabilità nella seconda guerra mondiale:
“E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente.
A dar retta a certi teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.
Da “Lettera a una professoressa” (scrittura collettiva della scuola di Barbiana)
…La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra ‘scuola dell’obbligo’ ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.
…Alla fine delle elementari 11 ragazzi hanno già lasciato la scuola per colpa delle maestre. ‘La scuola è aperta a tutti. Tutti i cittadini hanno diritto a otto anni di scuola. Tutti i cittadini sono eguali’. Ma quegli 11 no. Neanche uno di loro è figlio di signori. La cosa è così evidente che fa sorridere. Gli 11 ragazzi che sono andati a lavorare nei cinque anni delle elementari avevano dai sette ai quattordici anni. Lo Stato s’è scordato di loro. Non li scrive più nel registro scolastico e non li scrive ancora in quello delle forze di lavoro.
…“Se un compito è da quattro io gli do quattro”. E non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali.
…“Quando li presi in prima erano dei veri analfabeti. Ora invece mi fanno dei compiti tutti corretti”. Di chi parla? Dove sono i ragazzi che prese in prima media? Sono rimasti solo quelli che scrivevano corretto anche allora e forse anche in terza elementare. Quelli che l’hanno imparato dalla famiglia. Gli analfabeti che aveva a prima media sono ancora analfabeti. Se li è solo levati davanti agli occhi.
…Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi… Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare.
…Ci sono dei professori che fanno ripetizioni a pagamento. Invece di rimuovere gli ostacoli lavorano a aumentare le differenze. La mattina sono pagati da noi per fare scuola eguale a tutti. La sera prendono denaro dai più ricchi per fare scuola diversa ai signorini.
…Durante i compiti in classe lei passava tra i banchi mi vedeva in difficoltà o sbagliare e non diceva nulla. Io in quelle condizioni sono anche a casa. Nessuno cui rivolgermi per chilometri intorno. Non un libro di più. Non il telefono. Ora invece siamo a ‘scuola’. Sono venuto apposta, di lontano. Non c’è la mamma, che ha promesso che starà zitta e poi mi interrompe cento volte. Non c’è il bambino della mia sorella che ha bisogno d’aiuto per i compiti. C’è silenzio, una bella luce, un banco tutto per me. E lì, ritta a due passi da me, c’è lei. Sa le cose. E’ pagata per aiutarmi. E invece perde il tempo a sorvegliarmi come un ladro.
In conclusione, si potrebbe dire che la Chiesa ha riabilitato don Milani con la visita di papa Francesco alla sua tomba il 20 giugno 2017, nel cinquantenario della morte, ma forse sarebbe più corretto dire che papa Francesco con il suo gesto ha riabilitato la Chiesa!
10. Bibliografia
Riportiamo di seguito soltanto alcuni titoli significativi. Lo stesso vale per la filmografia e le trasmissioni RAI.
L. Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Libreria Editrice Fiorentina, 1967.
N. Fallaci, Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani, Milano libri Edizioni, 1974.
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1996.
L. Milani, Esperienze Pastorali, Libreria Editrice Fiorentina, 1997.
M. Toschi, Don Lorenzo Milani e la sua Chiesa. Documenti e studi, Edizioni Polistampa, 2006.
F. Sessi, Il segreto di Barbiana, Marsilio Editori, 2008.
E. Affinati, L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, Mondadori, 2016.
M. Gesualdi, Don Lorenzo Milani – L’esilio di Barbiana, Edizioni San Paolo, 2016. Mosaico di pace, dossier Don Lorenzo, i poveri e la coscienza, luglio 2017, pagg. 19-30.
11. Filmografia
Don Milani – Il priore di Barbiana, regia di Andrea Frazzi e Antonio Frazzi, 1997 (miniserie televisiva in due puntate, interpretata da Sergio Castellitto).
12. RAI
Don Lorenzo Milani. Un ribelle ubbidiente, in La Storia siamo noi, regia di Elisabetta Castana, a cura di Rai Educational, 2002.
Don Milani: il dovere di non obbedire, in “La Grande Storia”, a cura di Paolo Mieli, 2017.