Ecopacifismo. Per riconciliarci con noi e con la natura

Ecopacifismo. Per riconciliarci con noi e con la natura

Ermete Ferraro, Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR)

1.      Premessa

Questo opuscolo vuol essere un contributo a quegli insegnanti e/o formatori che, all’interno di un più generale interesse per l’educazione alla pace e alla nonviolenza, siano orientati verso una visione più complessiva, che cerchi di coniugare ed integrare l’ecologismo con il pacifismo.

Mai come in questo periodo, d’altronde, la stretta connessione tra problematiche ambientali e drammatico acuirsi dei conflitti geopolitici appare evidente. All’incalzare della crisi climatica – cui non è estranea neppure la sconvolgente emergenza sanitaria dovuta alla pandemia – si è sovrapposto l’allarme per una sanguinosa guerra ai confini dell’Europa, le cui cause sono intimamente connesse alla pervasività di un modello energetico e di sviluppo insostenibili sul piano ambientale, oltre che iniqui su quello socio-politico.

L’accaparramento delle risorse naturali ed il comportamento predatorio verso quell’ambiente che dovrebbe essere la ‘casa comune’ da custodire e tutelare nei suoi delicati equilibri ecologici, infatti, alimentano i conflitti armati ed esigono un sistema – il complesso militar-industriale – che produce morte e devastazione. Ecco allora che si continua a fare le guerre per mettere le mani sulle risorse ma anche a sprecare risorse preziose per fare le guerre. Un circolo vizioso che perpetua la violenza in tutte le sue declinazioni, e quindi sia nei confronti dell’ambiente sia tra entità statali e nazionali.

L’ecopacifismo parte appunto dalla constatazione di quanto l’imperialismo guerrafondaio e militarista sia intimamente legato ad un antropocentrismo arrogante e violento, che pretende di dominare la natura proprio come impone il suo potere su quella parte dell’umanità che ha contribuito a rendere marginale e subalterna. Lo sfruttamento delle risorse ambientali, infatti, è sempre andato di pari passo con quello sulle classi popolari, avendo appunto quella matrice comune.

Per citare una frase di Philip Berrigan: «Ecopacifismo significa prendere posizione per la vita e comprende la resistenza ad ogni minaccia alla vita. Le sole persone che hanno realmente capito cosa significa rivoluzione sono quelle che considerano possibile la rivoluzione nonviolenta».i

Purtroppo in Italia – sebbene si registri da decenni la presenza di organizzazioni pacifiste sensibili anche alle questioni ambientali e di organizzazioni ambientaliste attente alle problematiche della pace – stenta ad affermarsi perfino il termine ‘ecopacifismo’, sicuramente più diffuso in altri contesti geo-politici, in particolare in ambito anglosassone ed ispanico.

Eppure le politiche di consumo e di produzione degli stati e quelle relative alla c.d. ‘sicurezza nazionale’ sono ormai talmente collegate da mettere a serio rischio la sopravvivenza stessa del Pianeta. Ciò premesso, diventa ancor più inspiegabile la banalizzazione e frammentazione del movimento ambientalista e la sua mancata alleanza con quello pacifista, contro la guerra e per il disarmo e la smilitarizzazione del territorio. Ecco perché il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione), branca italiana dell’I.F.O.R. (International Fellowship Of Reconciliation), ha deciso di pubblicare un libro ii che è una seria riflessione su questo approccio ancora poco conosciuto e praticato, ma anche uno stimolo a realizzare un vero movimento ecopacifista, con obiettivi precisi e con una metodologia condivisa.

Anche questo opuscolo, pertanto, cercherà di mettere in luce quanto sia necessario un simile progetto, a partire dal chiarimento delle sue finalità e dall’indicazione di alcuni opportuni strumenti conoscitivi e formativi.

2.      Ecopacifisti: come e perché?

Non avrebbe senso perseguire un’astratta eco-sostenibilità dell’economia se essa restasse assoggettata alla logica d’un capitalismo globalizzato e pervasivo, che ricorre sempre più spesso alla strategia bellica quando l’aggressione ‘pacifica’ e neocolonialista del mercato non basta più. Allo stesso modo, non basta manifestare contro guerre ed invasioni armate qualora non ci si opponga anche a un modello di sviluppo predatorio, nemico della natura e dei suoi equilibri almeno quanto lo è della giustizia e della pace. Sarebbe dunque quanto meno ingenuo pensare che opporsi ad un’aggressione militare o a dittature non abbia a che fare con la battaglia per modelli più sostenibili di energia oppure con un’agricoltura non più dominata dalle monoculture e dall’accentramento delle risorse alimentari del nostro pianeta.

Ecco perché nel 2004 avevo proposto l’ecopacifismo come «…l’anello di congiunzione tra le lotte per l’ambiente e quelle per la pace, a partire dalla consapevolezza che […] entrambi si alimentano di una scelta etica, fondata sul rifiuto della violenza e del dominio come forze necessarie per il cambiamento e lo sviluppo”. La “triade” ambiente/sviluppo/attività militari – di cui aveva parlato Johan Galtung già negli anni ’80 – avrebbe richiesto una strategia unitaria ed una saldatura organizzativa, in modo da contrapporre al modello violento di economia e di società uno sviluppo equo, ecocompatibile e nonviolento». iii

In quel saggio ricordavo alcune interessanti impostazioni ed esperienze del movimento verde che lasciavano presagire una sensibilità in tal senso. Anche alcune proposte di “ecologia sociale”, diffuse in ambito europeo ed anche italiano, avrebbero lasciato sperare nel rilancio dell’opzione ecopacifista. Un’altra corrente di pensiero che avrebbe potuto alimentarne lo studio e la pratica, inoltre, è quella che fa riferimento al pensiero eco-teologico ed alla crescente sensibilità delle Chiese cristiane verso il trinomio “giustizia/pace/salvaguardia del creato”. Purtroppo anche l’autorevole riflessione di tanti teologi e vescovi e lo stesso magistero degli ultimi tre pontefici non sembra ancora aver coinvolto a fondo tali comunità, che stentano a far proprio quel “principio responsabilità” di cui parlavano filosofi e teologi che hanno insistito sulla centralità di un’etica ambientale e sul superamento di ogni giustificazione alla guerra.

All’interrogativo su quale modello di ecopacifismo perseguire, avevo risposto proponendo: (a) alcune priorità programmatiche: disarmo e difesa alternativa, tutela della diversità ecologica e culturale, ecologia sociale applicata al quotidiano; (b) alcune strategie operative: rapporto col movimento antiglobalizzazione, con quello no-war e nonviolento e con le organizzazioni ecologiste e verdi; (c) apertura, anche da parte dei movimenti più radicalmente laici, alla collaborazione con le comunità cristiane più sensibili, in quanto inclini a coniugare la scelta per la pace con quella per la giustizia e la tutela dell’ambiente.

Ciò significa che i precetti della cultura della pace sempre più dovrebbero diventare parte dell’ambientalismo e quelli ambientali parte del pacifismo nonviolento. Un acuto osservatore, a tal proposito, è stato l’ecologista Giorgio Nebbia, il quale ebbe ad osservare: «Se ci si volta indietro, nei sessantasei anni trascorsi dalla pace del 1945, quando finì l’ultima “grande guerra”, non c’è stato un solo giorno di vera pace nel mondo […] La violenza ha dominato e pervaso la storia umana […] perché ogni conflitto, ogni scontro, ha avuto cause ed effetti ambientali. Dietro le scuse “ufficiali” di difesa di diritti politici o umani o dietro motivi religiosi o con la scusa di assicurare a qualcun altro la libertà da qualche cosa, c’è sempre stata la volontà di impossessarsi di beni territoriali o ambientali “altrui”: la conquista di terre fertili, o di spazio, io di risorse naturali o il controllo dell’acqua dei fiumi…» iv

Lo stesso drammatico conflitto armato russo-ucraino che sta sconvolgendo gli equilibri geopolitici, col rischio di scatenare una terza guerra mondiale, è un’evidente dimostrazione di come una politica di controllo monopolistico sulle risorse naturali – ed in particolare sulle risorse energetiche – sia alla radice di ogni scontro bellico, ma anche della folle corsa agli armamenti e della militarizzazione della società. È altrettanto evidente, quindi, che una risposta alternativa non può che essere ecopacifista, richiedendo un’autentica transizione ecologica ed un disarmo accompagnato dalla istituzione di un modello difensivo civile e nonviolento.

Alla prima domanda (ecopacifisti come?) possiamo rispondere allora proponendo una sintesi fra ecologismo sociale e nonviolenza politica, in quanto entrambi richiedono una profonda ‘conversione’ dall’attuale modello di sviluppo (predatorio, energivoro, violento ed iniquo) ad un’alternativa davvero eco-compatibile. Essa dovrebbe essere fondata sul rispetto degli equilibri naturali, sul senso del limite, sulla sostituzione della competizione e della prevaricazione con collaborazione, integrazione e solidarietà, puntando anche sul superamento delle soluzioni violente e distruttive ai conflitti, con tecniche di mediazione nonviolenta e con una difesa non armata, civile e sociale.

Al secondo quesito (ecopacifisti perché?) si può rispondere che – di fronte al fallimento di interventi parziali e ad equivoche proposte di ‘transizione’ – sarebbe indispensabile smettere di leggere in modo settoriale le problematiche che affliggono il nostro tempo. Ciò significa aprirsi finalmente ad un’ottica globale ed olistica oltre che etica, la sola che può aiutarci a fare scelte radicali, che colgano le profonde connessioni tra crisi ambientale, tensioni sociali ed escalation dei conflitti armati.

Per sviluppare questa nuova prospettiva c’è bisogno di informarsi di più e meglio e dunque i formatori già interessati a intraprendere percorsi di educazione alla pace hanno bisogno di documentarsi nel merito. Purtroppo, sulla questione del rapporto tra pace e ambiente c’è tuttora carenza di una letteratura ampia e approfondita. Questo contributo, pertanto, cerca di offrire qualche suggerimento in tale direzione.

3.      Alcuni riferimenti per un progetto ecopacifista

Alla metà degli anni ’70 fu il M.I.R. a individuare il nesso fra ambiente e pace v, indicando le alternative sia nel settore dell’energia che della difesa. Nei primi anni ’90 il famoso biologo Barry Commoner scrisse un libro significativamente intitolato Far pace col pianeta vi, ma in Italia all’interdipendenza fra lotte pacifiste ed ecologiste erano già stati dedicati dei saggi a partire dalla fine degli anni ’80. Il più significativo esponente italiano di tale impostazione fu Alex Langer, il quale nel 1989 scriveva: «Sembra di assistere da tempo alla crisi del vecchio movimento per la pace e forse alla rigenerazione di un pacifismo di tipo nuovo, che promette bene, pur sapendo di dover affrontare immani sproporzioni tra le spinte alla guerra (che sono poi le stesse che comportano distruzione ambientale, sfruttamento economico, oppressione politica) e la necessità di pace (che vuol dire sostanzialmente autolimitazione e rispetto di un equilibrio giustovii Ma, nonostante l’esperienza coagulante d’un movimento politico internazionale come quello dei Verdi – di cui lo stesso Alex Langer e Petra Kelly furono significativi rappresentanti – gli attivisti per la pace e quelli per l’ambiente hanno continuato a seguire percorsi propri e poco comunicanti, tranne nel caso delle mobilitazioni antinucleari degli anni ’70 e ’80, che sono state un altro importante, ma parziale, ’collante’. Questa persistente miopia dei movimenti e la scarsa tendenza a mettere in pratica il classico slogan ambientalista “pensare globalmente, agire localmente”, ci inducono allora ad ipotizzare un’alleanza quanto meno operativa fra queste due dimensioni dell’agire politico. Infatti i terreni sui quali si possono sperimentare interventi comuni non sono certo pochi, a livello sia nazionale sia internazionale.

Basti pensare all’assurdo e reiterato tentativo del governo di riproporre agli Italiani l’opzione nucleare, già due volte sconfitta da un movimento referendario composito e dal basso. Si pensi anche all’accresciuta e più diffusa sensibilità della gente in campo alimentare e contro l’uso degli OGM, altro settore dove da decenni si esercita il ferreo controllo delle multinazionali, oppure alla vincente ma sempre contraddetta battaglia per un’acqua pubblica e gestita con criteri sociali, contro l’avidità delle grandi imprese internazionali che in parte già la controllano. In ambedue i casi, infatti, sono innegabili i risvolti non solo economici sociali e civili di quelle scelte, ma anche il loro collegamento col rifiuto d’un mondo assoggettato al potere delle multinazionali, della finanza e del complesso militar-industriale, come ha più volte sottolineato un profeta dell’ecopacifismo evangelico come p. Alex Zanotelli viii.

Mai come in questo periodo, del resto, sta crescendo nel cittadino medio la consapevolezza che la crisi finanziaria globale è strettamente connessa ad una strategia di controllo non solo dei mercati mondiali, ma anche delle risorse energetiche strategiche e degli equilibri geo-politici complessivi. A questo “capitalismo-avvoltoio” – com’è stata efficacemente definita negli stessi USA la complicità fra i grandi di Wall Street ed il complesso militar-industriale – bisognerebbe contrapporre una strategia altrettanto complessiva ed internazionalmente diffusa.

Per un movimento ecopacifista – o che, quanto meno, abbia l’ecopacifismo tra i suoi principi ispiratori – non mancherebbero le occasioni per sottolineare queste perverse connessioni e per intraprendere battaglie che vadano ad incidere sulle tre dimensioni delle questioni citate. Infatti, difendere l’acqua come bene comune o sconfiggere il nucleare civile, come accennavo, sono scelte il cui peso va ben oltre la difesa dell’ambiente, coinvolgendo aspetti fondamentali di tale alternativa.

È peraltro evidente che la strada da percorrere resta ancora molta e che in Italia, con un movimento pacifista frammentato e con un associazionismo ambientalista talvolta troppo istituzionalizzato, si tratta di un percorso difficile. Esistono, però, alcune questioni sulle quali si potrebbe da subito cercare una convergenza operativa delle relative organizzazioni. La prima è certamente quella relativa alle scorie nucleari ed al loro ritrattamento, finalizzato alla fabbricazione di armamenti atomici. La seconda è senz’altro la battaglia contro la presenza di natanti a propulsione nucleare in alcuni porti del nostro Paese.

Un altro terreno d’azione comune potrebbe essere il rischio ambientale connesso all’inquinamento elettromagnetico generato da mostruosi apparati (stazioni radar e per telecomunicazioni), massicciamente presenti in basi ed aeroporti militari collocati anche in aree densamente urbanizzate come nel caso del MUOS. Non dimentichiamo neppure la meritoria campagna contro le c.d. “banche armate”, finanziatrici dell’industria bellica, cointeressate in molte imprese industriali multinazionali ed in speculazioni edilizie, talora ipocritamente atteggiate a benefattrici dell’umanità o perfino sponsor di progetti di recupero ambientale.

Rilanciare l’ecopacifismo come vero e proprio “programma costruttivo”, in alternativa ad un mondo sempre più militarizzato ed asservito alle multinazionali, è però un obiettivo più grande ed ambizioso, che il M.I.R. ha reso attuale e cui tutti siamo chiamati a dare un contributo, prima che sia troppo tardi.

Farlo attraverso interventi di educazione alla pace ed ambientale è sicuramente molto importante. Ma, anche in questo caso, dopo anni di spontaneismo e di mancanza di un minimo comun denominatore progettuale, c’è bisogno d’un efficace coordinamento di tali attività, ottimizzando le risorse umane disponibili, moltiplicando le occasioni di formazione degli operatori educativi e condividendo bibliografie, documenti e buone pratiche. È un obiettivo che la Rete Italiana Pace e Disarmo si è proposta e che, anche per l’ecopacifismo, potrà davvero fare la differenza ix.

Indicazioni bibliografiche

i KELLY, Petra, Fighting for Hope, Cambridge MA, South End Press, p. 11 (trad. mia)

ii M.I.R. – Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello. Un progetto ecopacifista, Torino, Gruppo Abele, 2021

iii FERRARO, Ermete, Quale ecopacifismo? in “Biodiversità a Napoli” – suppl. a Verde Ambiente, anno XX, n. 2, mar- apr. 2004, pp. 21-27. Vedi anche: IDEM, “Ecopacifismo: visione e missione” 13.12.2011, Ermete’s Peacebook. https://ermetespeacebook.blog/2011/12/13/ecopacifismo-visione-e-missione/ iv NEBBIA, Giorgio, “Pace e ambiente”, Verde Ambiente, set. 2011

v Cfr. https://www.miritalia.org/storia/

vi COMMONER, Barry, Far pace col pianeta, Milano, Garzanti, 1990

vii LANGER, Alex, “La causa della pace non può essere separata da quella dell’ecologia”, 1.4.1989, Emergenze, n.6/88 e Azione nonviolenta, https://www.alexanderlanger.org/it/147/3532 . Vedi anche: Alex Langer, Storia del movimento verde in Italia: i Verdi come le vergini stolte? Peuples Mediterranées,

Paris, 1993. https://www.alexanderlanger.org/it/145/367

viii ZANOTELLI, p. Alex, Giù le mani dall’acqua. Diario e ragioni di un impegno. Appelli 2006-2010,

Varese, EMI, 2010. V. anche: IDEM, Acqua: diritto alla vita, Varese. EMI. 2019

ix Oltre ai riferimenti bibliografici già citati, sarebbe opportuno allargare lo sguardo ad altri testi, anche non tradotti in italiano, fra cui i seguenti:

  • AMSTER, Randall, Peace Ecology, New York, Routledge, 2015
  • BERGANTIÑOS FRANCO, Noemi – IBARRA GÜELL, Pedro, “Eco-Pacifismo y Antimilitarismo. Nuevos Movimientos Sociales y Jóvenes en el Movimiento Alterglobalizador”, Revista de Estudios de Juventud, n. 76/2007, Fundaciòn Dialnet, UniRioja, pp. 113-127
  • CAMPOMANES, Eduardo, “Los Verdes del Estado Español: ¿Reformismo politico o ecopacifismo radical?”, Ecologia Politica, n. 6, 1994, Barcelona, Fundaciò ENT, pp.33-38. https://www.jstor.org/stable/20742761
  • D’ACUNTO, Antonio, Alla ricerca di un nuovo umanesimo. Armonia tra uomo e natura nella lotta politica, Napoli, La Città del Sole, 2016
  • DRAGO, Antonino, La non violenza come riforma della religiosità cristiana, Aprilia LT, Aracne, 2020
  • FERRARO, Ermete, L’Ulivo e il Girasole. Manuale di Ecopacifismo, Napoli, V.A.S. 2014. Scaricabile da https://issuu.com/ermeteferraro/docs/manuale_ecopacifismo_vas_2_83d43f9735930d
  • FLORES OTERO,Jacqueline, “Eco-pacifist Education as a Tool for SocialEvolution”, Ciencia Puerto Rico, Apr. 2012. https://www.cienciapr.org/en/monthly-story/eco-pacifist-education-tool-social- evolution
  • GALTUNG, Johan, Ambiente sviluppo e attività militari, Torino, E.G.A., 1984
  • LLISTAR I BOSCH, David, “Convergence of environmentalism and antimilitarism. Metabolism, geopolitics and anti-cooperation”, ICIP Per la Pau, n 5, Barcelona, Nov.2010. http://www.icip-

perlapau.cat/e-review/issue-5-november-2010/convergence-environmentalism-and- antimilitarism-metabolism-geopolitics-and-anti-cooperation.htm

  • MARTIRANI, Giuliana, La danza della pace. Dalla competizione alla cooperazione, Ed. Paoline, 2004
  • PANZARASA, Stefano, L’orecchio verde di Gianni Rodari. L’ecopacifismo, le poesie, la visionarietà, la pratica della fantasia e le canzoni ecologiste, Roma, Stampa Alternativa, 2011
  • WOODS, Mark, “Ecology and Pacifism”, in: FIALA, Andrew (ed.), The Routledge Book of Pacifism and Nonviolence, New York, Routledge, 2018

Il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione), il cui acronimo inglese è IFOR (International Fellowship of Reconciliation), è un movimento internazionale, a base spirituale, composto di donne e uomini che sono impegnati nel praticare la nonviolenza attiva come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e mezzo di trasformazione personale, sociale, economica e politica. Nel 1952 Tullio Vinay e Carlo Lupo (valdesi), Ruth e Mario Tassoni (quaccheri), promuovono la nascita del MIR in Italia, che si impegna da subito per la diffusione della teoria e prassi della nonviolenza. Il MIR italiano ha scelto come simbolo il charkha, l’arcolaio a ruota per filare il cotone. Gandhi chiedeva a tutti gli indiani di tessere da se stessi il cotone per rivalutare il lavoro manuale perché, attraverso la tradizionale attività artigianale, tutti potessero guadagnarsi il pane: per questo ne aveva fatto il simbolo della nonviolenza. Un richiamo alla semplicità di vita, ad un lavoro senza sfruttati e sfruttatori, rispettoso dell’ambiente; il modello di vita da perseguire.

Ermete Ferraro (Napoli, 1952) è laureato in lettere moderne ad indirizzo linguistico ed ha conseguito anche il diploma di assistente sociale e quello di operatore pastorale. Dopo il servizio civile come obiettore di coscienza ed un decennale impegno quale operatore socio-educativo in un centro sociale di comunità, per oltre un trentennio ha insegnato discipline letterarie nelle scuole medie, occupandosi anche di disagio scolastico. Di formazione nonviolenta, dagli anni ’70 si è impegnato nell’ambito della ricerca sulla pace, dell’educazione alla pace e dell’azione per la pace, facendo parte di varie organizzazioni fra cui il Movimento Internazionale della Riconciliazione (M.I.R.), storica associazione nonviolenta di cui è attualmente vicepresidente. Dagli anni ’80 attivista ecologista ed esponente dei Verdi – che ha rappresentato alla Circoscrizione Vomero (1987-97) e alla provincia di Napoli (1990-95) – è tuttora membro del Comitato Esecutivo dell’associazione Verdi Ambiente e Società (V.A.S.), di cui è referente nazionale per l’ecopacifismo. Autore di varie pubblicazioni saggi ed articoli, è collaboratore e redattore del periodico Nuova Verde Ambiente, per il quale cura la rubrica “Cara Pace. Riflessioni ecopacifiste”.

Lascia un commento