Guerra e Diritti Umani

Guerra e Diritti Umani

Gianmarco Pisa, Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace

1.  Contesto giuridico-politico e presupposti storici

La storia contemporanea del nesso tra guerra, diritti umani e pace inizia all’indomani della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, allorché, costituitasi, con la Carta di

S. Francisco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il suo Consiglio Economico e Sociale istituisce, il 16 febbraio 1946, la Commissione ad hoc incaricata di redigere una Dichiarazione al cui interno enunciare tutti i diritti umani da tutelare in tutti i Paesi della Comunità Internazionale. La Commissione lavorò per quasi tre anni e alla fine, il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) venne approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

I precedenti storico-culturali della DUDU vanno rintracciati nel pensiero liberale, democratico e socialista europeo (da Montesquieu a Marx); nel processo di trasformazione rivoluzionaria dell’Europa attraverso la Rivoluzione Inglese (1640- 1689), con il contenimento dell’assolutismo, la Rivoluzione Americana (1770-1776), culminata nella Dichiarazione di Indipendenza, la Rivoluzione Francese (1789-1793), con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino e, infine, la Rivoluzione Bolscevica (1905-1917), con l’associazione delle masse al processo di decisione politica; nonché, infine, nella riflessione del Cristianesimo solidale, che era giunto a definire una propria dottrina sociale a partire dall’enciclica Rerum Novarum (1891).

Per quanto la DUDU possieda un alto valore etico e politico, non è uno strumento giuridicamente vincolante e non offre soluzioni cogenti alla tutela dei diritti umani, soprattutto in quanto: a) si limita a raccomandare agli Stati il rispetto dei diritti e introduce prescrizioni talvolta percepite in contrasto con determinate, pre- esistenti, tradizioni socio-culturali, che ne hanno reso a volte difficile l’acquisizione. Tale lacuna inerente alla cogenza del quadro dei diritti viene colmata nel 1966, con la approvazione del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, entrati in vigore nel 1976.

Alla DUDU vanno inoltre aggiunte le dichiarazioni regionali, come la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e le Libertà Fondamentali (CEDU) (Roma, 4 novembre 1950). È interessante osservare come il Consiglio d’Europa, nella sua produzione normativa, abbia riprodotto il modello generativo di ispirazione ONU: la codifica della seconda generazione (diritti materiali) fu completata solo nel 1961 a Torino, con la Carta Sociale Europea, che riconosce i diritti economici, sociali e culturali.

La prima stagione del diritto umanitario poté tuttavia dirsi compiuta solo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, grazie all’approvazione, da parte dell’ONU, di alcune dichiarazioni specifiche, come la Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali (1978), la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW, preparata su iniziativa dell’ONU già nel 1967 ma entrata in vigore solo nel 1981) e la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (1989).

Si tratta di una produzione normativa molto importante, perché allude ai gruppi umani più comunemente esposti nelle situazioni di guerra; tali documenti, insieme con i movimenti anti-coloniali, che avevano impegnato l’ONU tra gli anni Sessanta e Settanta, preparano il consolidamento del nesso diritti/giustizia e dei principi fondamentali di risoluzione pacifica delle controversie, non ingerenza negli affari interni e rispetto dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli Stati.

La stagione che si inaugura è orientata a sostenere l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani e a favorire, conseguentemente, l’impegno (sia diplomatico sia non-governativo) a salvaguardia dei gruppi umani maggiormente esposti e a tutela dei diritti fondamentali ovunque nel mondo, come presupposto di pace possibile, soprattutto a seguito del varo dell’Agenda per la Pace (Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali, 1992) e il rilancio del peacekeeping ONU.

2.  Diritto Umanitario Internazionale

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) è dunque l’atto fondativo del diritto internazionale contemporaneo. Un aspetto particolarmente rilevante è costituito dall’influenza della DUDU sul diritto di natura pattizia (derivante dai trattati) in quanto costituisce l’atto antesignano della normativa sui diritti, che si svilupperà, come detto, attraverso due Patti Internazionali (1966) e le Convenzioni tematiche. In particolare, il Patto sui Diritti Civili e Politici (“prima generazione” dei diritti umani) e il Pattosui Diritti Economici, Sociali e Culturali(“secondagenerazione” dei diritti umani) vincolano gli Stati contraenti alla tutela dei diritti fondamentali.

Da tale elaborazione deriva l’orientamento a considerare indisgiungibili il lavoro di pace e l’azione a tutela dei diritti, indicando la promozione dei diritti umani come fattore decisivo nella costruzione della «pace positiva» («pace con giustizia»), la quale non sia solo, in negativo, assenza della guerra, ma soprattutto costruzione in positivo di rapporti sociali orientati al primato della giustizia, dei diritti e della libertà.

La rilevanza della DUDU consiste nel sottrarre il tema dei diritti umani, in quanto fondamentali, indivisibili e universali, alla competenza esclusiva («dominio riservato») degli Stati e nell’assumere la questione della tutela dei diritti umani come compito universale. Tale tutela non riguarda solo lo Stato di cittadinanza o di accadimento della specifica violazione; essa riguarda il cittadino in quanto tale, riconosciuto come soggetto giuridico, capace di ricorrere alla giustizia inter- nazionale, in relazione alla violazione dei propri diritti fondamentali. Il cittadino acquisisce così una «soggettività giuridica» divenendo, in quanto tale, in relazione ai diritti umani e alla libertà fondamentali della persona, «soggetto di diritto».

3.  Evoluzione del contesto normativo

La giustizia internazionale ha avuto un ulteriore momento di svolta, dopo la fine dell’equilibrio bipolare tra le superpotenze, negli anni Novanta, con l’interpretazione delle gravi violazioni dei diritti fondamentali – in termini di grandi violazioni (gross violations) – come «crimini internazionali», lesivi della coscienza universale al punto da richiedere una risposta – anche sul piano giudiziario – di livello internazionale.

Si ritiene, infatti, interesse comune reagire con tempestività ed efficacia a tali crimini, dal momento che le violazioni sistematiche dei diritti umani fondamentali difficilmente sono punite dalla giustizia interna (le “grandi violazioni” prevedono solitamente il concorso degli apparati dello Stato) e, direttamente o potenzialmente, possono costituire una grave minaccia alla pace (il caso del genocidio in Ruanda e l’effetto sul limitrofo conflitto in Congo ne rappresentano un caso di scuola).

Sia nelle circostanze della «continuità di regime», sia nei casi di «transizione concordata» (tipiche delle fasi di post-crisi) si assiste, all’interno degli Stati, a fenomeni di corruzione, criminalità ed impunità, che, in determinati casi, possono alludere all’azione della giustizia internazionale. Questa può esercitarsi in due modi: intanto, può imporre una risposta da parte dello Stato, obbligandolo a perseguire la giustizia interna; in tal senso, la giurisdizione nazionale è chiamata ad intervenire e, ove inadempiente, per il principio di indivisibilità della giustizia internazionale, è data facoltà di intervento internazionale sulla base della Carta delle Nazioni Unite; inoltre, è possibile ricorrere a Tribunali Penali Internazionali.

I Tribunali Penali Internazionali perseguono di norma i crimini internazionali come delitti internazionali secondo tre tipologie: a) crimini contro la pace (contributi individuali alle guerre di aggressione); b) crimini di guerra (commessi nel corso dei conflitti armati); c) crimini contro l’umanità (non direttamente legati al conflitto ma capaci di portare gravi minacce alla pace, come le grandi violazioni dei diritti umani); a questi si aggiunge il crimine di genocidio («crimini commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo determinato in ragione della propria specificità», ad esempio un gruppo etnico in ragione della propria etnia).

L’evoluzione del diritto umanitario internazionale risulta, inoltre, segnata in misura non irrilevante dal lavoro e dal contributo della società civile organizzata, anche nella formulazione di proposte portatrici di grandi sviluppi: basti pensare al contributo al riconoscimento dei Corpi Civili di Pace come contingenti di personale civile non armato attivi nella gestione positiva (costruttiva) dei conflitti.

4.  Diritto Penale Internazionale e Giustizia Internazionale

Nel diritto penale internazionale, gli Stati sono sottoposti ad obblighi sia verso le organizzazioni internazionali sia al proprio interno, in quanto la persona viene riconosciuta titolare di diritti nella sua qualità di soggetto. Restano individuati, pertanto, una serie di crimini punibili dagli organi dello Stato in quanto lesivi del diritto internazionale; tali crimini vanno, peraltro, perseguiti in ogni caso, in virtù del principio di indivisibilità, sia o meno il crimine previsto dal codice penale interno.

Caposaldo della giustizia internazionale sono le Convenzioni di Ginevra (1949), che proteggono, in primo luogo, le persone che non partecipano o non partecipano più a un conflitto armato e tutelano quindi gli individui nei teatri di guerra, in riferimento, tra le altre, alle fattispecie di omicidio, tortura, distruzione o arbitraria appropriazione di beni, detenzione arbitraria o deportazione, presa in ostaggio di civili. Tali condotte, poste in essere contro civili inermi o combattenti disarmati, vengono perseguite indipendentemente dalla connessione con atti di guerra.

Una – tuttora assai discussa – evoluzione della giustizia internazionale si registra nel 1993, con la nascita del Tribunale Penale per i Crimini di Guerra in ex Jugoslavia (risoluzione del Consiglio di Sicurezza 827); nel 1994 si istituisce il Tribunale per i Crimini di Guerra e contro l’Umanità in Ruanda (risoluzione del Consiglio di Sicurezza 955). Entrambi nascono come Tribunali ad hoc e si dotano di una sfera di azione definita: il primo giudica i crimini compiuti nel territorio della ex Jugoslavia dal 1991, il secondo giudica i crimini commessi nella guerra civile in Ruanda nel 1994.

I Tribunali si occupano di crimini di guerra, contro l’umanità e contro la pace; nonché genocidio e violazione delle Convenzioni di Ginevra. La novità costituita dai Tribunali ad hoc consiste nel fatto che questi hanno competenza sugli individui in quanto tali e non in quanto organi dello Stato cui appartengono, in base al principio della responsabilità penale internazionale degli individui. Inoltre, indagano, in particolare, sulla fattispecie di genocidio, concepito come piano coordinato di distruzione di gruppi umani in quanto tali in base alle loro caratteristiche specifiche.

L’ONU ha inoltre provveduto a istituire una Corte Penale Internazionale (CPI), il cui Statuto è il Trattato di Roma (1998), con funzione di organo permanente di giustizia internazionale per le vittime di crimini previsti dallo Statuto. La CPI è complementare alla giurisdizione nazionale, in quanto opera solo quando la giustizia nazionale non esercita competenza sui crimini internazionali in oggetto.

La CPI è competente per i crimini di aggressione, in base alla risoluzione 3314 (1974) dell’Assemblea Generale, che definisce come aggressione «l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in ogni altra maniera contraria alla Carta delle Nazioni Unite».Ha competenza sui crimini di guerra,i crimini contro l’umanità, nonché sui casi di tortura, genocidio, sterminio (inflizione di condizioni tali da distruggere una popolazione a prescindere dalla suaappartenenza a un dato gruppo).

Si manifesta così nuovamente il problema della giustizia internazionale negli scenari di guerra, sia quanto alla violazione sistematica dei diritti, sia quanto alla riproduzione della casistica dei crimini di guerra. Negli scenari di guerra il problema della giustizia è sempre quello della minaccia alla dignità della persona umana, della violazione dei diritti, nonché dell’esercizio della cosiddetta «giustizia dei vincitori».

Si tratta di uno scenario che interroga anche l’iniziativa della società civile, ad es. attraverso gli strumenti degli interventi civili di pace: sia nel senso del confronto con le vittime per il re-inserimento sociale, sia nel senso dello sviluppo di azioni di ricostruzione civile, sia ancora nel senso della promozione di iniziative per la promozione del dialogo, della fiducia civica e, in prospettiva, della riconciliazione.

5.  Peacekeeping e «sistema di sicurezza collettivo»

La Carta delle Nazioni Unite conferisce al Consiglio di Sicurezza poteri di intervento a tutela della sicurezza e della pace a livello internazionale, con il compito di combattere le minacce alla pace, intese come: a) aggressione, b) conflitto armato, c) gross violations (grandi violazioni dei diritti umani, genocidio, terrorismo).

In base all’art.2, gli Stati rinuncianoalla facoltà di muovere guerra, acconsentendo alle limitazioni di sovranità connesse all’istituzione di una organizzazione sovra- nazionale per la tutela della sicurezza collettiva. Tale disciplina è tuttavia soggetta a un intenso dibattito, riguardo i cosiddetti limiti nell’uso della forza. Secondo alcuni, ad esempio, l’art. 24 lo impedisce in ogni caso; secondo altri, esso lo “disciplina” ma non lo “impedisce” tout court dal momento che tale impedimento varrebbe solo laddove fosse in contrasto con i principi delle Nazioni Unite, aprendo con ciò la strada all’intervento militare “conforme” alle finalità della Carta delle Nazioni Unite.

L’ONU ha istituito il «sistema di sicurezza collettivo» a norma dei Capi VI e VII della Carta. Per«sicurezza collettiva» si intende l’insieme degli strumenti per inibire l’insorgenza di qualsiasi minaccia alla pace. Il Capo VI istituisce gli strumenti di natura non coercitiva per la soluzione pacifica delle controversie: strumenti diplomatici (buoni uffici, accordi, trattati) o giurisdizionali (rinvio ad un giudice internazionale di natura arbitrale); tra i mezzi diplomatici vi è anche la possibilità di rivolgersi al Consiglio per le controversie suscettibili di minaccia alla pace.

Il Capo VII istituisce le azioni di natura coercitiva da intraprendere in caso di violazione della pace (conflitto, aggressione, terrorismo). È il Consiglio ad accertare le fattispecie costituenti una minaccia alla pace: a) possibilità di deflagrazione di un conflitto internazionale, b) violazione del principio di auto-determinazione, c) conflitti interni agli Stati capaci di minacciare la pace e la sicurezza internazionale a causa di gravi violazioni dei diritti umani o del coinvolgimento di altri Stati.

L’introduzione delle operazioni di peacekeeping rappresenta un’estensione della Carta in risposta all’esigenza di adeguare l’impegno delle Nazioni Unite a tutela della pace. Il peacekeeping costituisce l’ambito di azione dei Caschi Blu, contingenti disponibili all’impiego in teatro di operazioni con compiti di presidio del cessate il fuoco, di separazione dei contendenti e di ripristino delle condizioni di sicurezza.

Il peacekeeping tradizionale (o di «prima generazione») consiste nell’invio di contingenti militari su consenso delle parti destinatarie, sulla base di alcuni presupposti e di alcuni requisiti: la disponibilità di forze militari da parte degli Stati; l’uso della forza limitato alla legittima difesa; l’imparzialità tra i contendenti.

Negli anni Novanta, il peacekeeping va incontro a una vasta rivisitazione e si assiste a una «seconda generazione». Il c.d. peacebuilding prevede nuovi requisiti e compiti, quali aiuto umanitario, ricostruzione economica, monitoraggio elettorale e dei diritti umani, capacity building (rafforzamento della società civile) e institution building (ripristino dell’apparato statale e della funzionalità amministrativa) e la componentecivile viene di conseguenza ad assumere un peso sempre più significativo.

Infine, il peace-enforcing (che esula dall’ambito proprio del mantenimento o della costruzione della pace e che pure viene talvolta considerato una «terza generazione» del peacekeeping) scatta invece quando, ritenuti non più necessari il consenso delle parti e la neutralità e la imparzialità dell’intervento, si agisce in maniera coercitiva perseguendo un determinato obiettivo politico o strategico.

Una dimensione importante è quella degli interventi civili orientati alla tutela dei diritti umani (Human Rights Defender). La risoluzione dell’Assemblea Generale 53/144 (1999) costituisce l’atto internazionale a codifica dell’attività umanitaria degli operatori di pace in quanto difensori dei diritti, con una serie di prerogative:

a) promuovere i diritti umani, b) libertà di riunione, associazione ed espressione in ordine alla tuteladei diritti umani, c) comunicazione, informazionee documentazione relativa alla tutela dei diritti umani (advocacy) per tutti e per tutte.

Il processo di costruzione della «pace con giustizia» («pace positiva»), basata sul rispetto delle memorie e dei vissuti ed il ripristino della fiducia e della convivenza, è un processo essenziale di peacebuilding. Il lavoro delle Commissioni Verità e Riconciliazione (CVR) e delle Commissioni Verità e Giustizia (CVG) è spesso decisivo ai fini dell’esaurimento dei bacini dell’odio e della ricostruzione del legame sociale.

Si tratta di commissioni orientate alla riconciliazione tra le parti del conflitto, istituite da un potere pubblico riconosciuto per accertare le violazioni e sanzionare il reo, spesso con meccanismi di giustizia riparativa. Il modello su cui si basa questa forma di accertamento della verità prevede, di norma, tre momenti: 1) analisi delle cause, 2) individuazione del crimine e del responsabile, 3) decisione della soluzione più adattata a garantire la giustizia, la riparazione, il ripristino della convivenza.

6.  Alcune parole-chiave

Le parole-chiave di questo cimento sono dunque: verità, giustizia, riconciliazione, perdono e pace; si muovono tutte nell’ottica della trasformazione positiva e sono funzionali all’elaborazione collettiva della colpa e del trauma, in modo da avviare un processo di inibizione della violenza e recupero di senso della parola «pace». Trattandosi, infine, di strumenti negoziali, il loro ambito di validità è limitato, non possono produrre vere e proprie sentenze né decidere di amnistiare i gravi crimini internazionali (gross violations) come tortura, genocidio e crimini contro l’umanità. Nondimeno rappresentano una risorsa fondamentale, a disposizione delle comunità, per l’emersionedallaviolenza, il superamentodelconflittoe la ricostruzionedellapace.

7.  Suggerimenti bibliografici

Federazione Internazionale della Croce Rossa, ABC del diritto internazionale umanitario, Dipartimento Federale degli Affari Esteri DFAE, Berna, 2014, disponibile al sito: cri.it/wp-content/uploads/2021/01/ABC_del_Diritto_Internazionale_Umanitario.pdf.

Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, 2009. Carlo Jean, Guerre umanitarie. La militarizzazione dei diritti umani, Dalai, Milano, 2021. Giuliano Pontara, Quale pace? Sei saggi su pace e guerra, violenza e nonviolenza, giustizia economica e benessere sociale, Mimesis, Milano, 2016.

Antonio Papisca – Marco Mascia, Le relazioni internazionali nell’era della inter- dipendenza e dei diritti umani, CEDAM, Padova, 2012.

Antonio Papisca, Noi, diritti umani. Rappresentazione di dignità umana, et di pace, Marsilio, Venezia, 2016. Inoltre, alcuni fondamentali documenti giuridici internazionali:

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: www.ohchr.org/en/udhr/pages/Language.aspx?LangID=itn

Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei diritti umani: www.ohchr.org/Documents/Issues/Defenders/Declaration/Dichiarazione_delle_NU_sui_Difensori_DU.pdf

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