I BAMBINI SOLDATO: UN CRIMINE CONTRO L’UMANITÀ

I BAMBINI SOLDATO: UN CRIMINE CONTRO L’UMANITÀ

di Luciano Bertozzi , Archivio Disarmo

1. Premessa

Migliaia di bambini non giocano e non vanno a scuola, perchè costretti a combattere, rapiti da scuole e villaggi. I Paesi più interessati, secondo il rapporto del Segretario Generale ONU, del 6.5.2021, Le sort des enfants en temps de conflit armé , relativo all’anno precedente, sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Somalia, Si ria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine. Nei predetti Paesi decine di milizie ma anche eserciti regolari utilizzano i baby soldati. Le Nazioni Unite hanno registrato almeno ottomila casi di minori, utilizzati in combattimento in una ventina di Paesi, per il 90% opera di guerriglie. La Somalia, secondo l’ONU, nel 2020 è stato fra i Paesi più coinvolti con 1.700 ragazzini, per lo più rapiti da Al Shabab, ma anche da Esercito e polizia che li hanno utilizzati in quasi 200 casi. Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) oltre 2 500 minori sono stati reclutati dal 2008 e utilizzati fino al loro rilascio, nel 2019, da decine di milizie. Neanche la pandemia ha bloccato il fenomeno, che anzi si è ampliato ad altre zone, come il Sahara, in Mali, con almeno 200 casi e in Burkina Faso. Il compito di questi piccoli non è “solo” di combattere, ma anche di essere cuochi, facchini, messaggeri. Alle ragazzine spetta il compito di spose dei guerriglieri e visto che per loro è più facile evitare controlli sono usate, da Boko Haram, in Nigeria, come kamikaze. I minori trasformati in soldati sono sottoposti a violenze di ogni tipo:
uccisioni, torture, mutilazioni, uso di droghe somministrate per eliminare dolore e paura, gravidanze indesiderate e AIDS. Le guerre, inoltre, distruggono anche ospedali e scuole, calpestando le convenzioni internazionali, nell’adozione delle quali l’Italia ha svolto un ruolo significativo; in tal modo migliaia di persone sono private di diritti fondamentali e di ogni prospettiva di futuro. Nel solo 2019 l’ONU ha accertato almeno mille attacchi contro scuole ed ospedali, con il raddoppio di quelli colpiti dagli eserciti, soprattutto in Somalia.
Da anni il Segretario Generale ONU, nel citato Rapporto annuale elenca gli eserciti e le milizie che si macchiano del crimine dell’arruolamento e dell’utilizzo dei bambini come soldati e di altri reati commessi contro i minori (uccisioni e ferimenti, rapimenti, violenze sessuali, distruzioni di scuole e ospedali). Stupisce che il Rapporto non dia luogo a sanzioni automatiche ai responsabili di tali crimini, ma che anzi, in taluni casi, continuino a ricevere il sostegno internazionale, senza risponderne in alcun caso.

Migliaia di bambini non giocano e non vanno a scuola, perchè costretti a combattere, rapiti da scuole e villaggi. I Paesi più interessati, secondo il rapporto del Segretario Generale ONU, del 6.5.2021, Le sort des enfants en temps de conflit armé, relativo all’anno precedente, sono: Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine. Nei predetti Paesi decine di milizie, ma anche eserciti regolari utilizzano i baby soldati. Le Nazioni Unite hanno registrato almeno ottomila casi di minori, utilizzati in combattimento in una ventina di Paesi, per il 90% opera di guerriglie. La Somalia, secondo l’ONU, nel 2020 è stato fra i Paesi più coinvolti con 1.700 ragazzini, per lo più rapiti da Al Shabab, ma anche da Esercito e polizia che li hanno utilizzati in quasi 200 casi. Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) oltre

2.500 minori sono stati reclutati dal 2008 e utilizzati fino al loro rilascio, nel 2019, da decine di milizie. Neanche la pandemia ha bloccato il fenomeno, che anzi si è ampliato ad altre zone, come il Sahara, in Mali, con almeno 200 casi e in Burkina Faso. Il compito di questi piccoli non è “solo” di combattere, ma anche di essere cuochi, facchini, messaggeri. Alle ragazzine spetta il compito di spose dei guerriglieri e, visto che per loro è più facile evitare controlli, sono usate, da Boko Haram, in Nigeria, come kamikaze. I minori trasformati in soldati sono sottoposti a violenze di ogni tipo: uccisioni, torture, mutiliazioni, uso di droghe somministrate per eliminare dolore e paura, gravidanze indesiderate e AIDS. Le guerre, inoltre, distruggono anche ospedali e scuole, calpestando le convenzioni internazionali, nell’adozione delle quali l’Italia ha svolto un ruolo significativo; in tal modo migliaia di persone sono private di diritti fondamentali e di ogni prospettiva di futuro. Nel solo 2019 l’ONU ha accertato almeno mille attacchi contro scuole ed ospedali, con il raddoppio di quelli colpiti dagli eserciti, soprattutto in Somalia.

Da anni il Segretario Generale ONU, nel citato Rapporto annuale elenca gli eserciti e le milizie che si macchiano del crimine dell’arruolamento e dell’utilizzo dei bambini come soldati e di altri reati commessi contro i minori (uccisioni e ferimenti, rapimenti, violenze sessuali, distruzioni di scuole e ospedali). Stupisce che il Rapporto non dia luogo a sanzioni automatiche ai responsabili di tali crimini, ma che anzi, in taluni casi, continuino a ricevere il sostegno internazionale, senza risponderne in alcun caso.

2.  I motivi dell’utilizzo

Quali sono le motivazioni che spingono ad utilizzare proprio i più piccoli come combattenti? I bambini, secondo Olara Otunnu, Rappresentante Speciale del Segretario Generale Onu per i bambini nei conflitti armati, “non sono ancora pienamente coscienti delle loro azioni: possono essere facilmente indottrinati e trasformati in spietate macchine belliche”. Inoltre guerre sempre più sanguinose richiedono nuova carne da cannone ed i minori non disertano, non chiedono paghe e spesso l’esercito rappresenta l’unico modo per potersi nutrire. In Liberia nel 1990 hanno preso parte attiva ai combattimenti anche bambini di 7 anni, perché secondo il direttore della locale Croce Rossa, “quelli con i fucili potevano mangiare”. Del resto l’utilizzo dei bambini è reso più facile grazie anche alla diffusione di armi piccole e leggere (pistole, mitra, fucili ecc.) ampiamente reperibili, di facile uso e non necessitanti della forza fisica di un adulto. In estrema sintesi fra i motivi che aiutano la diffusione del problema vi sono: l’enorme disponibilità di armi piccole e leggere nei Paesi più poveri del mondo; la mancata registrazione dei bambini alla nascita, che nega il diritto all’identità anagrafica; la facilità d’indottrinamento dei più piccoli; la possibilità di terrorizzare le popolazioni civili, obiettivo di tante guerre in corso. E’ da evidenziare che, quando i minori sono fra le file dei combattenti, le forze in campo tendono a considerarli tutti come potenziali nemici, con le conseguenze facilmente prevedibili. I combattimenti, inoltre, prendono di mira ospedali e scuole, in spregio di apposite convenzioni internazionali e impedendo la fruizione di diritti fondamentali come salute e istruzione a molte migliaia di persone. L’odissea dei bambini-soldato non finisce con la resa: anche se molte migliaia di minori sono stati liberati o reinseriti nella vita civile, il loro futuro rimane problematico. Il diritto internazionale considera i minori utilizzati nelle guerre vittime della ferocia degli adulti; tuttavia in molti casi sono detenuti, privati delle cure parentali, sanitarie, alimentari e sottratti ai propri genitori a causa della presunta appartenenza a gruppi terroristici. A tutto ciò va aggiunto lo stigma sociale, che colpisce soprattutto le ragazze costrette a fare le “schiave sessuali” e, pur essendo vittime incolpevoli, per questo messe ai margini della società, con rare possibilità di recuperare la propria vita. Va considerato, inoltre che molti di questi minori sono il frutto di stupri, in cui la loro “famiglia” è rappresentata dalla guerriglia o dagli eserciti e in un contesto di guerre in corso da decenni con ben poche possibilità se non combattere a loro volta. L’interesse supremo dei minori alla protezione dovrebbe avere, invece, sempre la priorità ed essi dovrebbero essere considerati vittime e non carnefici, anche se hanno commesso crimini.

3.  Il reinserimento degli ex bambini soldato

Sempre secondo il Rapporto del Segretario Generale ONU, nel 2019 ben 13.200 minori sono stati separati da eserciti e guerriglie. Gli ostacoli maggiori al reinserimento sono costituiti della possibilità di una smobilitazione duratura e dal fatto che molti minori sono stati reputati appartenenti, in maniera vera o presunta, a gruppi guerriglieri considerati terroristi anche dall’ONU. Ovviamente i programmi di reinserimento devono tener conto delle questioni di genere e includere la salute mentale, il sostegno psicosociale, l’educazione e la formazione professionale, così come l’iscrizione all’anagrafe ed alla giustizia. Purtroppo, come ha sottolineato l’ONU, “tutti i minori che sono stati liberati dalle parti in conflitto non hanno potuto usufruire di tali programmi nel 2019”. Si corre il rischio, infatti, che dopo la smobilitazione, in mancanza di programmi duraturi nel tempo, anche a causa di mancanza di fondi, gli ex bambini soldato possano essere riarruolati o dedicarsi al banditismo. Un caso emblematico è quello del Sud Sudan fra i Paesi più colpiti dal fenomeno, in cui l’Unicef (Fondo ONU per l’infanzia), con il comunicato del febbraio 2020, ha lanciato l’allarme “Sud Sudan: per carenza di fondi a rischio il ritorno alla vita civile di 900 “bambini soldato”. Il Fondo ha chiesto 4,2 milioni di dollari per il 2020 per coprirne i costi, di cui potrebbero usufruire 2.100 ragazzi. Va segnalato il suo prezioso lavoro per la smobilitazione: “solamente negli ultimi tre anni abbiamo contribuito a farne liberare quasi 37.000,

assistendoli prima e dopo il rilascio e nella delicata fase del ritorno alla vita civile.” Il reinserimento di questi minori dovrebbe essere il fine ultimo, in un approccio globale, fondato sul rispetto dei diritti umani per uscire dalla spirale della violenza e, quindi, per porre le basi di una pace duratura per tutti.

4.  Il ruolo italiano

Il nostro Paese è impegnato da tempo nella tutela dei diritti dei minori a livello internazionale. Tale posizione è stata ribadita dal Ministero degli esteri con il comunicato “12 febbraio: Giornata Internazionale contro l’uso dei bambini nei conflitti armati”, in cui ”l’Italia riafferma con la massima determinazione il suo impegno per assicurare l’incolumità e i diritti dei minori, anche in situazioni di conflitto.” “Le violazioni contro le bambine nei conflitti armati – ha affermato Marina Sereni, Vice Ministro per gli Affari Esteri Sereni (Proteggere bambine in zone di guerra, Comunicato stampa MAECI, 16.11.2020) – assumono forme specifiche quanto odiose: violenza, schiavitù e tratta umana, abusi sessuali, gravidanze forzate, prostituzione, matrimoni e, non ultime purtroppo, mutilazioni genitali. Dobbiamo porre un rimedio a tutto questo orrore”. Un ulteriore aspetto della problematica su cui è incentrata l’attenzione dell’Italia è quella della tutela delle scuole e degli ospedali e del relativo personale. La Farnesina ha giustamente affermato, in occasione della Giornata Internazionale per la tutela dell’istruzione dagli attacchi armati (9 settembre 2020), che “le Nazioni Unite hanno verificato, nel 2019, ben 927 episodi di attacchi armati contro scuole e ospedali. Si tratta di una tendenza allarmante, ulteriormente aggravata dalla pandemia da COVID19: in tanti paesi in guerra le scuole sono abbandonate e utilizzate come strutture militari, con un maggiore rischio di essere danneggiate o distrutte. Privi della protezione offerta dalle scuole, i bambini rimangono più facilmente vittime di violenze, abusi, reclutamento da parte dei gruppi armati. L’Italia è da tempo attiva sul tema della protezione delle scuole durante i conflitti armati. Nell’ambito del nostro mandato in Consiglio di Sicurezza (CdS), nel 2017, ha contribuito in modo significativo a rafforzare il linguaggio sulla protezione dei bambini in conflitto nelle deliberazioni del Consiglio e, nel 2018, il nostro Paese ha inoltre co-sponsorizzato la Risoluzione 2427 (2018) del Consiglio di Sicurezza sui bambini nei conflitti armati, che dedica ampio spazio agli attacchi contro le scuole.” E’ anche la prima volta che una risoluzione ONU proclama il principio “centrale” secondo cui i bambini nei conflitti devono essere trattati, prima di tutto, come delle vittime. Inoltre nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata con risoluzione dall’Assemblea Generale Onu il 25 settembre 2015, all’interno dell’Obiettivo 16 Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia, e creare istituzioni efficaci, responsabili ed inclusive a tutti i livelli è inserito il punto 16.1 Ridurre ovunque in maniera significativa tutte le forme di violenza e il tasso di mortalità ad esse correlato e il punto 16.2 Porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico di bambini e a tutte le forme di violenza e tortura nei loro confronti. Tali obiettivi sono ricompresi fra quelli della Cooperazione allo sviluppo dell’Italia. A questo punto, fermo restando l’importanza dell’Agenda, sono fondamentali i tempi di attuazione degli obiettivi stessi, che per essere efficaci devono essere rapidi, ed il monitoraggio sull’attuazione di tali impegni.” Tale politica è incoerente, tuttavia, con gli aiuti militari italiani forniti ad eserciti e forze di polizia che utilizzano i minori come, ad esempio, Esercito e Polizia Nazionale Somala.

Da un lato il nostro Paese pone, giustamente, grande enfasi sul rispetto dei diritti umani. Infatti è stata eletta per il triennio 2019-21 nel Consiglio dei Diritti Umani ONU, anche per l’impegno, preso formalmente dal Governo, di contrastare il fenomeno dei bambini soldato e nell’adozione di Convenzioni internazionali che vietano l’uso di scuole e ospedali a fini militari e contro l’uso dei bambini nelle guerre, ma è presente, invece, con propri soldati a sostegno di eserciti che invece li utilizzano e ha firmato Accordi di cooperazione militare proprio con alcuni di questi Paesi e, sembra, senza porre alcuna condizione, negli aiuti militari concessi ai responsabili dei crimini che vogliamo contrastare. Ad esempio in Somalia, uno dei Paesi più colpiti, siamo presenti con diverse missione militari: quella europea (EUTM Somalia), composta anche da un centinaio di soldati per formare l’esercito di Mogadiscio, e una missione di addestramento delle forze di polizia (MIADIT).

Inoltre il coinvolgimento militare italiano può ridurre o eliminare la possibilità da parte nostra di poter svolgere un ruolo per cercare di trovare una soluzione negoziale e per porre fine a guerre che durano da decenni. Il rispetto delle Convenzioni internazionali dovrebbe essere posto alla base delle relazioni fra i Paesi. In particolare dovrebbe essere vietata ogni sorta di aiuto militare e chi si macchia dei crimini in questione dovrebbe essere punito, ponendo fine al muro dell’impunità. Le ripetute e documentate denunce dell”ONU non sembrano influenzare le scelte relative alla presenza militare italiana nell’ambito delle diverse missioni, né la decisione di stipulare accordi di assistenza e cooperazione militare Va sottolineato che “una larga parte delle armi leggere (pistole, fucili e loro parti ed accessori) sono considerate, dal punto di vista legale, “armi civili”, in quanto tali escluse dal campo di applicazione della legge 185/1990 che prevede criteri più rigorosi e sono invece regolamentate dalla legge 110/1975, che non prevede nessuna misura di trasparenza e nessun controllo parlamentare”. Tale aspetto era inserito nelle Raccomandazioni che il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha indirizzato all’Italia in passato in merito alla Convenzione Onu sui diritti e dell’adolescenza. Nelle ultime Raccomandazioni, espresse nel 2019, “Il Comitato accoglie con favore la decisione dello Stato parte di vietare e criminalizzare la vendita di armi leggere e di piccolo calibro nei Paesi in cui i minorenni sono coinvolti in conflitti armati”. E’ auspicabile che tale principio sia attuato con immediatezza.

5.  La protezione giuridica internazionale

Dopo la seconda guerra mondiale sono state introdotte alcune norme a tutela dell’infanzia. Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 sono state implementate e con il 1° Protocollo aggiuntivo sulla protezione delle vittime dei conflitti armati del 1977 per la prima volta si è posto il problema dei bambini soldato. Poi la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989, all’art.38, stabilisce, in forma non vincolante, l’età minima per il reclutamento a 15 anni e per gli stessi minori a non partecipare direttamente alle ostilità. Il Tribunale Penale Internazionale (TPI), il cui trattato istitutivo è stato firmato a Roma il 17.7.98. 1998, ha il mandato di processare i presunti responsabili di crimini contro l’umanità, di genocidio e di aggressione ad altri Paesi. In particolare, all’art. 8, comma 2, punto XXVI, “reclutare o arruolare fanciulli di età inferiori ai 15 anni nelle forze armate nazionali o farli partecipare attivamente alle ostilità”, il Tribunale persegue tali crimini anche in caso di conflitto interno: “la coscrizione o l’arruolamento nelle forze armate o nei gruppi armati di bambini al di sotto dei 15 anni o il loro impiego ai fini della partecipazione attiva alle ostilità”. Il Tribunale è competente ad intervenire sui seguenti reati: crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di aggressione. Il Tribunale, con sede a L’Aia, sottopone a giudizio ed eventualmente incrimina singoli individui e non gli Stati. Il Tribunale ha una giurisdizione di tipo complementare, quindi, può procedere solo quando i tribunali nazionali siano nell’impossibilità accertata o non vogliano giudicare i crimini in esame. Amnesty International in un comunicato stampa dell’11.8.1998 ha sottolineato la seguente criticità: “Grave è inoltre che i magistrati non possano perseguire cittadini dei Paesi non firmatari senza il consenso dello Stato dove è commesso il crimine o dello Stato della nazionalità dell’imputato”. Fra chi non aderisce al Tribunale ci sono gli USA, che cercano di ostacolarne il lavoro in tutti i modi, la Russia, la Cina e la Turchia. Israele ha firmato il Trattato, ma non lo ha ratificato. L’Italia con la legge 237/2012 ha adottato le norme che consentono al nostro Paese di cooperare con il TPI. Ad ogni modo, pur con taluni limiti, il Tribunale ha consentito di rompere il muro dell’impunità ed ha emesso alcune condanne di signori della guerra nella Repubblica Democratica del Congo e ne ha processati altri nella Repubblica centrafricana, ma non si è limitato a processare “solo” comandanti militari, ma anche i responsabili politici, come l’ex Presidente del Sudan Omar el Bashir, incriminato nel 2009 dal Tribunale Penale Internazionale: su di lui pende un mandato di cattura per l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, a causa dei massacri compiuti nel conflitto del Darfur del 2003. Inoltre, il Tribunale ha emesso un mandato di cattura nel 2011 nei confronti del Ministro della difesa del Sudan, Abdelrahim Mohamed Hussein, per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur nel 2003. Sarebbe opportuno che i lavori processuali possano avere la massima copertura mediatica nei Paesi interessati. Recentemente il Tribunale ha condannato a 30 anni di reclusione Dominic Ongwen, rapito mentre andava a scuola a 10 anni e poi diventato un capo del Lord’s Resistance Army, che ha terrorizzato l’Uganda, per aver commesso decine di reati gravissimi.

Nel 2002 è entrato invigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati Protocollo, che, in particolare, fissa a 18 anni l’età minima per partecipare alle ostilità o al reclutamento negli eserciti. Viene definito bambino soldato un minore di 18 anni di età, che fa parte di qualunque forza armata o gruppo armato, regolare o irregolare che sia, a qualsiasi titolo

E’ da sottolineare che in taluni casi sono stati firmati accordi di pace fra Governo e guerriglie che hanno comportato l’impunità per i crimini commessi. Ad esempio, in Afghanistan “Hekmatyar, capo di Hez-i-islam, il secondo più grande gruppo di insorti del Paese, è entrato a far parte del governo afghano. Il 4 maggio, dopo due anni di negoziati, è stata finalizzata la bozza dell’ accordo di pace firmata a settembre 2016 fra il governo e Hekmatyar, che gli ha garantito l’amnistia per i reati commessi in passato, inclusi crimini di guerra”. Va evidenziato anche il ruolo della Corte Speciale per la Sierra

Leone, istituita con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1315/2000. La Corte è stata chiamata a giudicare i crimini contro l’umanità, di guerra e le altre gravi violazioni del diritto internazionale verificatisi nel paese africano, fra i più interessati dal fenomeno bambini-soldato. Taylor, Presidente della Liberia dal 1997 al 2003, è stato condannato dalla Corte a 50 anni di reclusione, per aver fatto scoppiare la guerra civile liberiana all’inizio degli anni ’90 .

6.  Conclusioni

La pace è il mezzo più potente, evidentemente, per eliminare tante sofferenze, ma è necessario che i Paesi occidentali aiutino questi Paesi ad uscire dai conflitti e dal sottosviluppo con politiche mirate e non come spesso succede riempiendo i loro arsenali.

La situazione pandemica che stiamo vivendo, a livello globale e nazionale, dovrebbe motivare una rielaborazione delle priorità e delle scelte politiche, nonché degli strumenti d’intervento pure nelle aree di cui abbiamo trattato. La guerra in corso in Ucraina, invece, ha cambiato le priorità e si assiste, ovunque, ad un aumento delle spese militari che alimenteranno nuove tensioni e renderanno il mondo più insicuro.

Infine, l’Italia dovrebbe impegnarsi concretamente in sintonia con le seguenti raccomandazioni che il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha indirizzato all’Italia, in merito alla Convenzione Onu sui diritti e dell’adolescenza (I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 10° rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell”infanzia e dell’adolescenza in Italia. Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Roma, 2019, p. 77 )

38. Il Comitato raccomanda all’Italia di:

  • modificare la propria dichiarazione, resa ai sensi del Protocollo Opzionale, sull’età minima per il reclutamento al fine di conformare la propria legislazione nazionale all’età minima di 18 anni;
  • includere esplicitamente nella legislazione nazionale il reclutamento e l’uso di minorenni nei conflitti armati tra i motivi per l’attribuzione dello status di rifugiato;
  • garantire che i principi e le disposizioni della Convenzione e del Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei minorenni nei conflitti armati siano chiaramente menzionati nei curricula scolastici degli studenti delle scuole militari, dei militari di leva e delle persone in servizio militare attivo;
  • estendere il mandato dell’Autorità nazionale garante per l’infanzia e l’adolescenza allo scopo di monitorare le scuole militari, in modo da ricevere altresì segnalazioni e agire in caso di reclami sporti da minorenni ammessi alle scuole militari. CRC/C/ITA/CO/5-6, punto 38

7. Bibliografia essenziale

Albanese G. (2007). Soldatini di piombo. La questione dei bambini soldato, Feltrinelli. Bertozzi L. (2003). I bambini soldati. Lo sfruttamento globale dell’infanzia. Il ruolo della società civile e della società internazionale, EMI Editore.

Ishmael Beah (2019), Memorie di un soldato bambino, BEAT.

8. Filmografia

Lord of war (2005) diretto da Andrew Niccol

Blood diamonds (2006), diretto da Edward Zwick

9. Sitografia

A. Santucci , I bambini soldato, in “Sistema Informativo a Schede”, maggio 2015

M.C. Pasquarelli, L’accordo di cooperazione italo-somalo nel campo della difesa e la questione dei bambini soldato, in “Sistema Informativo a Schede”, febbraio 2016

E. Sangiovanni , Lo sfruttamento dei bambini nei conflitti armati. Una panoramica mondiale, in “Sistema Informativo a Schede”, maggio 2017

S. Doro, Minori e conflitti armati. Quanto è ancora diffuso nel mondo l’utilizzo dei

bambini soldato?, in “IRIAD Review”, Gennaio 2020

L. Bertozzi, I bambini soldato: un crimine contro l’umanità. L’Italia aiuta chi utilizza i bambini nelle guerre?, in “IRIAD Review”, Gennaio 2021

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