L’Italia non sia complice delle minacce militari turche contro il Kurdistan
La Rete Italiana Pace e Disarmo chiede all’Italia l’applicazione delle norme sull’export di armi, la condanna di bombardamenti e minacce di invasione, il sostegno diplomatico alla ripresa dei negoziati di pace
La Turchia sta ammassando da giorni truppe al confine della Siria e dell’Iraq non facendo mistero di voler ampliare l’occupazione militare già in corso di una parte del territorio siriano, nel quale opera una pulizia etnica e dichiarando esplicitamente che potrebbe nuovamente riprendere l’invasione “in qualsiasi momento”. Da molti mesi l’esercito della Turchia, uno stato della Nato, bombarda le zone a maggioranza curda dell’Iraq e della Siria rendendosi protagonista di periodici sconfinamenti sia aerei che terrestri.
Nel Nord Iraq, come segnalato anche da un recente report della società civile irachena, sono stati lanciati oltre 4000 attacchi transfrontalieri causando tra l’altro l’abbandono forzato da parte della popolazione di oltre 500 villaggi per sottrarsi ai bombardamenti e determinando ampie manifestazioni popolari. Il Nord-Est della Siria è oggetto dal 20 novembre di una ripresa dei bombardamenti, con colpi di artiglieria, attacchi aerei e droni che hanno colpito almeno 265 siti con oltre 1500 strike, facendo oltre 50 vittime civili. I bombardamenti delle zone autonome curde della Siria sono sempre continuati anche dopo la tregua mediata dagli Stati Uniti e dalla Russia seguita all’invasione di terra del 2018.
La situazione è di palese e impunita violazione continuativa dei diritti umani, della pace e della legalità internazionale.
Non possiamo dimenticare che le Unità di Protezione Popolare (YPG) e l’Esercito Democratico Siriano (FDS), oggetto degli attacchi in Siria, hanno collaborato in maniera decisiva, con il sostegno anche del nostro Paese, alla sconfitta dello Stato Islamico in Siria e perseguono un obiettivo di autonomia regionale all’interno di una Siria democratica. Come pure va ricordato che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, la cui presenza è presa a pretesto dal regime turco per giustificare le azioni militari, in particolare nel nord Iraq, ha abbandonato da decenni gli obiettivi separatisti a favore della lotta per la democratizzazione della Turchia e il rispetto delle minoranze etniche ed ha dichiarato il cessate il fuoco sin dal 2013 nell’ambito dei negoziati di pace con lo stato turco (che lo ha rotto nel 2015 con l’operazione Martyr Yalcin).
Al Governo e al Parlamento italiano non chiediamo di inviare armi per l’autodifesa delle popolazioni, ma chiediamo che siano applicati i criteri della Legge 185 del 1990 e del Trattato internazionale ATT interrompendo da subito tutte le forniture militari e revocando la concessione di brevetti che permettono alla Turchia di fabbricare armi su licenza italiana, come teoricamente già deciso e mai attuato nel 2019. Nel quinquennio 2016-21 l’Italia ha fornito 901,6 milioni di euro di armamenti, tra cui 92 elicotteri da combattimento del tipo T-129B ATAK costruiti dalla Turkish Aerospace Industries su licenza Agusta/Westland certamente utilizzati anche nelle operazioni in Siria e Iraq.
Al Governo e al Parlamento italiano non chiediamo di comminare sanzioni economiche che potrebbero affamare la popolazione turca già provata da una grave crisi economica. Chiediamo invece di utilizzare tutto il peso diplomatico, politico ed economico di cui il nostro Paese dispone per condannare una eventuale nuova invasione e i bombardamenti in corso, per il cessate il fuoco e per la ripresa dei negoziati di pace tra lo stato turco e le formazioni curde.
Ci aspettiamo che il Governo e il Parlamento italiano sappiano schierarsi con fermezza dalla parte del diritto internazionale senza ignorare una situazione problematica, guardando da un’altra parte.