Rete Pace Disarmo: “Preoccupazione per proposte di modifica a legge su export di armi, si rischia di mettere gli affari armati prima dei diritti”
La Rete Italiana Pace Disarmo esprime la propria preoccupazione per le modifiche della Legge 185/90 sull’export militare predisposte dal Governo con la recente presentazione al Parlamento di un apposto Disegno di Legge (Atto Senato n. 855).
L’analisi del testo del DDL rivela infatti l’intenzione di implementare strutture e procedure di applicazione dei principi e dei criteri della Legge nella direzione di un controllo meno rigoroso soprattutto a livello di autorizzazioni e, di conseguenza, di una maggiore facilitazione delle esportazioni di armamenti militari a livello globale. In particolare, facendo assumere al nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – CISD) il compito di “applicare divieti” di esportazione dei materiali d’armamento stabiliti dalle norme nazionali e internazionali si intende di fatto sottoporre la decisione ad un giudizio più di tipo politico che giuridico.
Si concretizza così una richiesta di revisione delle norme in vigore ripetutamente avanzata negli ultimi anni dall’industria militare e da Istituti di ricerca ad essa viciniin un’ottica di facilitazione delle esportazioni di armamenti e e per aiutare la competitività dell’industria militare, la cui funzione è stata sempre enfatizzata – erroneamente – come “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale. La Rete Pace Disarmo aveva sottolineato con preoccupazione questi tentativi, ribadendo con forza come ci sia invece la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano. Come, in particolare, il Trattato sul commercio delle armi (Ams Trade Treaty– ATT), adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 24 dicembre 2014, che, nel regolamentare i trasferimenti di armi convenzionali, prevede sia ipotesi di tassativo rifiuto di concessione della licenza sia anche situazioni nelle quali è richiesta una specifica valutazione del rischio con conseguente rifiuti (ATT, Art. 7) .
Le motivazioni poste alla base di questo tentativo di modifica della legge 185/1990 appaiono pretestuose in relazione soprattutto a fantomatiche difficoltà, rispetto a concorrenti europei e internazionali, dell’industria militare italiana a realizzare contratti di vendita. Affermazione lontana dalla realtà come dimostrano gli stessi dati governativi che evidenziano una continua crescita nel volume di autorizzazioni e soprattutto di consegne all’estero di materiali d’armamento. Va inoltre evidenziato come sia nell’ultimo periodo progressivamente aumentato anche il numero totale di Stati clienti raggiunti dagli armamenti italiani, dato che pone il nostro Paese ai primi posti nel commercio mondiale di armamenti.
Va inoltre ricordato come in oltre trent’anni di presenza di una normativa sull’export di armamenti (le legge 185/1990) solo in un caso sia stato bloccato l’invio di materiali d’armamento (bombe e missili) verso attori altamente problematici (l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, che le utilizzavano per bombardamenti anche su civili in Yemen). Risultato raggiunto solo dopo una lunga e ampia mobilitazione della società civile, durata diversi anni, cui ha fatto seguito una decisione parlamentare che ha sollecitato quella governativa di conseguenza. Al contrario, in un tempo molto più breve l’attuale Governo ha deciso di riprendere le vendite di quegli ordigni, nonostante il conflitto yemenita non sia per nulla risolto e il rischio di ostilità e violazioni permanga alto, dimostrando ancora una voltail trattamento di favore e di vantaggio concesso alle esportazioni militari e agli affari armati.
Gli armamenti italiani sono stati e sono tuttora inviati in decine di situazioni di conflitto, di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe e espressamente vietato dalle norme in vigore (oltre al caso già citato ci riferiamo, tra gli altri, alle vendite verso Egitto, Turchia, Kuwait, Turkmenistan, Qatar, Israele… o anche ai tentativi di sottoscrivere contratti con l’Azerbaijan).
Il timore della nostra Rete Pace Disarmo è che lo spostamento di competenze decisionali riguardanti i criteri e i divieti relativi all’export di armi in ambito pienamente politico (con l’istituzione del nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – CISD) le salvaguardie che la legge prevede nei confronti degli impatti delle armi delle popolazione civili coinvolte in conflitti o in situazioni di violazione dei diritti verranno invece superate. La vera innovazione della Legge 185/90 (oltre alle procedure) è stata nell’aver per la prima volta evidenziato come la produzione e il commercio di armamenti non si siano considerabili un puro “business” ma abbiano anche impatti sui diritti e le politiche estere. Impostazione poi ripresa dalle norme internazionali come il già citato Trattato ATT che ci stupisce di non vedere citato nel DDL governativo, al fine di una sua integrazione completa nelle norme nazionali. In sede di ratifica del Trattato il Parlamento aveva espressamente indicato la Legge 185/90 come norma che ne recepiva l’applicazione, essendo già presente. Se ora si va a modificare tale Legge si dovrebbero dunque inserire in essa le fonti del diritto internazionale sottoscritte dall’Italia che non erano esistenti al momento della promulgazione iniziale.
Per tutte queste motivazioni la Rete Italiana Pace e Disarmo chiede che, se il Governo continuerà a mantenere la volontà di reintrodurre il ruolo di un Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), ciò venga fatto nella forma originaria prevista dal testo del 1990. Cioè ripristinando anche due commi che erano stati aboliti nelle risistemazioni successive, il 5 e 6 dell’articolo 6 della Legge 185/1990 così formulati:
5. Spetta altresì al CISD la individuazione dei Paesi per i quali debba farsi luogo ai divieti di cui all’articolo 1, comma 6.
6. Il CISD riceve informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’ONU e dalla CEE e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute ai sensi dell’articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49.