Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all’industria militare
Decisione che RIPD ritiene inaccettabile: non solo contraddice le finalità del Piano europeo per la ripresa, ma accantonando le proposte delle organizzazioni della società civile (e del mondo del lavoro) considera il settore militare, già ampiamente finanziato, come fattore di ripresa per il Paese.
Sorpresa nell’uovo di Pasqua: una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta.
Ad aprire a questa possibilità è stato il Parlamento, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.
Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Viene inoltre ipotizzata la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.
Diversamente dalle bozze implementate dal precedente Governo, in cui l’ambito militare veniva coinvolto nel PNRR solo per aspetti secondari come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrebbe quindi destinare all’acquisizione di nuove armi i fondi europei per la rinascita dell’Italia dopo la pandemia. Un comparto che, è bene ricordarlo, già riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.
Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato come i pareri votati “corrispondano alla visione organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti.
Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro. La Rete italiana Pace e disarmo denuncia la manovra dell’industria bellica per mettere le mani sui una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation.
Inascoltate le associazioni pacifiste, spazio solo ai produttori di armi.
Nel corso della discussione di queste settimane sono stati auditi rappresentanti dell’industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti. Per tale motivo chiediamo ora al Governo che le proposte della società civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta (con un impegno esteso alla difesa dell’occupazione in un’economia disarmata e sostenibile) siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo PNRR che l’esecutivo dovrà elaborare, spostando dunque i fondi dalla difesa militare.
La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico.
Occorre quindi una nuova politica estera italiana ed europea che abbia come obiettivo la costruzione di una comunità globale con un futuro condiviso, riprendendo il progetto delle Nazioni Unite volto “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e di collaborazione tra i popoli come elemento dominante delle relazioni internazionali.
La nonviolenza politica è lo strumento e il fine che bisogna assumere. Per questo è prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace: il Piano deve essere l’occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile e non sulle armi. “Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente”: così è scritto nell’introduzione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La Rete Italiana Pace e Disarmo vuole davvero che Il mondo di domani, per garantire un futuro alle nuove generazioni, sia basato su uno sviluppo civile e non militare.
Il Mahatma Gandhi indicava l’unica strada possibile “o l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Non possiamo tollerare che nemmeno un euro dei fondi destinati al futuro ecologico venga invece impiegato per mettere una maschera verde al volto di morte delle fabbriche d’armi. L’umanità ha bisogno di pace e di un futuro amico.