Disarmo Climatico per fermare la catastrofe: partita al Muse la tre giorni di analisi

Disarmo Climatico per fermare la catastrofe: partita al Muse la tre giorni di analisi

La prima serata ha approfondito il legame, sempre più evidente ma ancora poco analizzato, tra guerra e ambiente. Oggi e domani si continua

La connessione tra guerra e ambiente deve diventare consapevolezza comune. Ha preso il via da questa convinzione, ieri, al Muse di Trento, la tre giorni dedicata al Disarmo Climatico organizzata dalla Rete Italiana Pace e Disarmo, l’Associazione 46° Parallelo e il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani e in collaborazione con il MUSE (Museo delle scienze) e l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente e Trentino, Agenda 2030.

“È necessario essere sistematici – ha detto Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e Disarmo – Stiamo vivendo un periodo che vede coesistere due minacce esistenziali per l’umanità a causa delle armi nucleari e del cambiamento climatico. Una situazione di questo tipo ha bisogno di una risposta globale”.

Dalla necessità di agire e di trovare soluzioni nasce l’idea della tre giorni di approfondimento. “Disarmare il Mondo – ha detto Raffaele Crocco, direttore di Unimondo.org e di Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, che ha moderato la serata – significa mettere in atto un’azione concreta per frenare il disastro ambientale”.

Il collegamento tra la guerra e l’ambiente è infatti sempre più evidente, ma ancora poco analizzato. “Il 90% dei venti paesi con minori livelli di pace – continua Vignarca – secondo l’Indice di Pace Globale, affronta almeno una minaccia ecologica catastrofica. Il legame diretto tra cambiamenti climatici- guerra e minaccia ecologica è lampante: solo affrontando insieme anche questi problemi riusciremo a costruire la pace”.

Lo Yemen è uno dei teatri di guerra in cui questo legame si manifesta crudelmente, perché al disastro umanitario provocato da otto anni di guerra si uniscono le devastazioni causate dalle inondazioni.

“Il Paese – ha detto, in un contributo video, Radhya Almutawakel del Mwatana for Human Rights – è diventato una sorta di scarico di tutti i tipi di armi esplosive. Qualsiasi cosa in Yemen è stata colpita con armi esplosive. Abbiamo documentato più di centinaia di attacchi e, nella maggior parte dei casi, non siamo riusciti a trovare nemmeno un obiettivo militare”. Una guerra, quella dello Yemen, che Radhya Almutawakel definisce “ignorata”, più che dimenticata.

Un altro collegamento che esiste tra guerra e ambiente è quello energetico. “La metà dei conflitti dal 1973 ad oggi – ha detto Giuseppe Onufrio direttore esecutivo di GreenPeace – sono legati al controllo delle fonti fossili. Il conflitto in Ucraina sta rilevando quanto una guerra possa far regredire la transizione energetica. Stiamo assistendo al lavoro di lobbyng russo per far rientrare, ad esempio, nucleare e gas nella tassonomia di energia green. I Paesi Occidentali, inoltre, stanno infatti smettendo di investire in rinnovabili, cosa che già facevano molto poco, per concentrarsi sulla sicurezza energetica, a discapito dell’ambiente”.

Le guerre, inoltre, non sono tenute a rendere conto di quanto inquinano. “I 40 Paesi più industrializzati – ha riferito in un contributo video Ellie Kinney, The Conflict and Environment Observatory – hanno speso 1.270miliardi di dollari per le loro forze armate nel 2020, ma solo 5 hanno dichiarato le proprie emissioni in linea con quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. In questa fase della crisi climatica, nessuna industria può o dovrebbe essere esentata dai tagli alle emissioni, soprattutto quando una delle più grandi forze armate del mondo, come gli Stati Uniti, hanno un’impronta di carbonio più grande di 140 Paesi”.

Il legame tra impresa della guerra e territorio si vede anche laddove il conflitto non è combattuto, ma a combatterlo ci si prepara. La serata al Muse ha infatti riportato il caso della Sardegna, una delle aree più soggette a servitù militare. “Ci sono intere aree della Regione – ha spiegato la giornalista Stefania Divertito di Edizioni Ambiente – in assetto di guerra: chi abita nei pressi dei poligoni ha vita limitata. Per fare alcuni esempi: la Zona della costa di Quirra è stata recentemente bombardata a fuoco vivo, a Cala Zafferana i missili sono incastonati nella roccia, che in estate è aperta ai turisti. Di quello che tutto questo provoca alla salute delle persone e dell’ambiente, però, sappiamo molto poco. Una commissione parlamentare aveva poco tempo fa rilevato come zone della Regione vengano affittate alle industrie militari straniere, che emettono una autocertificazione in cui si specifica che le esercitazioni non hanno conseguenze sul territorio. Documenti su cui però non abbiamo nessuno controllo”.

La tre giorni prosegue oggi e domani con due sessioni tematiche che si occuperanno di approfondire l’impatto delle politiche di militarizzazione su clima ed emergenza ambientale, come il cambiamento climatico impatta su conflitti, territori, popolazioni e il ruolo della transizione verso la sicurezza climatica. Gli incontri si svolgono nella sala di Rappresentanza del Consiglio Regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, oggi dalle 14.00 alle 18.00 e domani dalle 9.00 alle 12.00.