A quando la pace in Congo?
Il grido della società civile italiana per la Pace nella Repubblica Democratica del Congo
A pochi giorni dall’imminente viaggio apostolico di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo i rappresentanti di 107 enti, associazioni, comitati e gruppi della società civile italiana, molti dei quali presenti nel Paese, chiedono di spezzare il silenzio su una guerra e sui crimini commessi ai danni della popolazione negli ultimi 30 anni. Un grido per un popolo che è stato annientato e distrutto in un conflitto che ha avuto i civili, soprattutto donne e bambini, come principale bersaglio.
La Repubblica Democratica del Congo è ricca per l’abbondanza delle risorse minerarie che possiede sia sul suolo che nel sottosuolo come: diamanti, oro, cobalto – indispensabile per le batterie delle autovetture elettriche – rame e soprattutto coltan, necessario per qualsiasi strumento elettronico; oltre ai legnami pregiati, alle biodiversità ed a una vastità di terre coltivabili. Una ricchezza che non ha nessun valore se confrontata con l’estrema povertà nel quale vive la popolazione: il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame acuta e l’aspettativa di vita al momento della nascita si aggira intorno a 59 anni per gli uomini e 61 per le donne.
Al centro di questi 3 decenni di conflitto vi è il controllo del territorio, soprattutto dell’Est del Paese area dove sono presenti la maggior parte delle risorse minerali, e posta al confine con Burundi, Rwanda e Uganda.
Una guerra senza fine, che ha reso impossibile la visita del Santo Padre nella martoriata città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. A Papa Francesco, in procinto di partire, le 107 associazioni hanno inviato una lettera, con la richiesta che dia voce al grido della popolazione congolese facendo conoscere le sue sofferenze e al tempo stesso denunciando le “cause strutturali” e le responsabilità politiche ed economiche dell’Occidente, che si appropria impunemente delle risorse naturali, dei mercati e delle risorse umane di questo Paese.
«[…] La sua venuta è stata lungamente attesa dal popolo congolese, di ogni appartenenza religiosa. Perché chi si sente fra i dimenticati della storia, trova un soffio di speranza presso chi gli si fa prossimo. Perché, attraverso di lei, il mondo potrà alfine guardare alla sofferenza senza fine di questo popolo, soprattutto all’est, e mettere in atto strumenti che sanzionino gli aggressori e scoraggino la guerra. […]» da uno stralcio della Lettera a Papa Francesco.
Le 107 associazioni chiedono che vi sia una smobilitazione e smilitarizzazione della Regione del Nord e Sud Kivu: togliendo terreno al Movimento M23 e agli oltre 100 gruppi ribelli presenti nell’area con la realizzazione di un programma concreto di disarmo, smobilitazione e, dove possibile, con la reintegrazione dei combattenti nella società civile.
Si chiede all’Unione Europea di ripristinare e revisionare il Regolamento (EU) 2017/821, entrato in vigore il 1 gennaio 2021, estendendolo al cobalto e rendendo concreta l’applicazione della legge sulla tracciabilità dei minerali, uno strumento concreto per bloccare l’uso di minerali che provengono da aree di conflitto. La transizione ecologica trova il suo fondamento nell’abbandono del fossile e nello sviluppo dei motori elettrici non inquinanti, ma soprattutto non deve essere macchiato dallo sfruttamento del lavoro e dai crimini di guerra.
Si chiede che si dia seguito a quanto indicato dal “Rapporto del Progetto Mapping relativo alle violazioni più gravi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della Repubblica Democratica del Congo” si denunciano da un lato tutti i crimini di massa, violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commessi in Congo e nel quale, dall’altro, si suggerisce una roadmap per l’’uscita dal conflitto, che ancora oggi è causa dell’attuale situazione nella quale la popolazione della Regione dell’Est del Paese vive. A tal fine è necessario che la verità sia svelata, che siano giudicati i crimini commessi e che sia posta fine l’impunità di chi l’ha provocata e perpetrata. Il Rapporto promuove l’istituzione di un Tribunale penale internazionale per la Repubblica Democratica del Congo che possa processare i crimini di genocidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità commessi e la creazione di una Commissione verità e riconciliazione.
Senza queste condizioni non ci sarà mai una Pace duratura per la popolazione del Nord e Sud Kivu e per l’intera Repubblica Democratica del Congo. «Il caso Congo, la guerra che ci è imposta ci ha insegnato tanto: in Congo c’è umanità ovunque. Le sofferenze invece di dividerci ci hanno resi più uniti. Prima c’erano le tribù, adesso c’è un solo popolo congolese. Perché sappiamo che la violenza fa male a tutti. Un’arma non è fatta per proteggere una comunità, tutte le armi uccidono. La guerra, che è la nostra storia, ci ha insegnato che solo la non violenza sarà capace di dare risultati» sottolinea Micheline Mwendike, attivista dei diritti umani di origine congolese.