Come contribuire alla fine della guerra?
Stati Uniti e Russia sono ormai i protagonisti della guerra in Ucraina, un conflitto senza sbocco. Europe for Peace e l’International Peace Bureau organizzano a giugno un vertice di pace a Vienna per aprire una strada verso il cessate il fuoco e una soluzione negoziata. Una riflessione di Sergio Bassoli e Giulio Marcon
A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, ci troviamo di fronte a due sviluppi politici che alzano la posta in gioco del conflitto e del modo in cui affrontarlo. Da un lato, la visita a sorpresa del presidente degli Stati Uniti Joseph Biden a Kiev ha dimostrato che gli Stati Uniti sono ora un protagonista a pieno titolo di questa guerra; insieme alla Russia, l’attore principale. Gli Stati Uniti sono pronti a guidare l’escalation di questa guerra, passo dopo passo, o a rispondere a un’escalation russa. Non c’è spazio per un ruolo dell’Unione Europea, della Cina, della Francia, della Germania, del Brasile o della Turchia. O dell’Ucraina. L’analisi di Michael von der Schulenburg, ex diplomatico delle Nazioni Unite, durante un webinar dell’International Peace Bureau (IPB) del 24 febbraio 2023 può essere pienamente condivisa (si vedano i primi venti minuti qui su YouTube).
Anche se il capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, ha dichiarato che “nessuno può vincere” questa guerra e che il conflitto può terminare solo attraverso il negoziato, non c’è nulla nella posizione degli Stati Uniti che apra una strada, o almeno indichi dei criteri, per un percorso parallelo di attività diplomatica volto a porre fine a questa guerra. Lo stesso vale per la Russia, ma questo lo sapevamo già. Il recente breve incontro tra Lavrov e Blinken ha confermato l’assenza di una dimensione negoziale; sulla guerra in Ucraina non c’è, semplicemente, nessuna iniziativa diplomatica. L’assenza negli ultimi mesi di successi militarmente significativi da entrambe le parti rende la mancanza di sforzi diplomatici ancora più preoccupante. È una guerra allo stato puro. Una guerra radicata, con la prospettiva di trascinarsi a lungo.
Dall’altro lato, l’atteggiamento dell’opinione pubblica su come affrontare questa guerra sta cambiando. C’è una crescente consapevolezza che la guerra deve essere conclusa. Il cambiamento è lento, ma che sia iniziato è evidente per chiunque voglia guardare oltre le pagine dei quotidiani e i notiziari televisivi, o provi a parlarne con i vicini di casa. Il cambiamento è sempre lento, all’inizio. È difficile prevedere un punto di svolta, quando le sue dinamiche affermeranno nel dibattito pubblico l’urgenza di porre fine alla guerra. In questo momento potremmo essere lontani da questa svolta.
Il dibattito pubblico è strutturato attorno a tre argomenti fondamentali. Responsabilità: la Russia è l’aggressore, l’Ucraina la vittima. Sovranità: se si permette la violazione dei confini in questo caso, c’è una minaccia alla nostra sicurezza, ovunque viviamo. Storia: il passato ci dice che la libertà dipende dalla determinazione, e che qualsiasi compromesso può portare facilmente a un’ulteriore limitazione della libertà. In generale si tratta di argomentazioni vere, ma ci sono sfumature di grigio a livelli più specifici della narrazione che delineano un’immagine lievemente diversa di chi è il responsabile, di che cos’è la sovranità e di che cosa ci dice la storia. Queste sfumature hanno il potere di aprire nuovi modi di interpretare la realtà e di affrontare questa guerra – e questo è quello che dobbiamo fare per avviare subito un percorso diplomatico.
Tuttavia un quarto argomento fondamentale deve affermarsi nel dibattito pubblico per aprire la possibilità di porre fine alla guerra. L’ordine internazionale: la sicurezza si costruisce su relazioni politiche basate sulla sicurezza comune e non sulla potenza militare o sulla deterrenza nucleare. E questo è tanto più vero in Europa, con la sua stretta integrazione politica, economica e sociale.
Le iniziative del movimento per la pace in molti paesi europei – Portogallo, Spagna, Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Italia etc – nei giorni del primo anniversario della guerra sono forse state meno estese di quanto si poteva sperare. In tutti i Paesi i media mainstream non hanno avuto problemi a negare che la gente fosse in piazza a chiedere una soluzione diplomatica della guerra. Solo il più grande di questi eventi, a Berlino, ha attirato l’attenzione dei media, anche se solo per la partecipazione al corteo di alcuni attivisti di destra. Tuttavia questi eventi hanno portato nuove prove che l’atteggiamento dell’opinione pubblica sulla guerra stia lentamente cambiando.
In Italia i pacifisti hanno promosso un lungo week-end di mobilitazioni lungo tutta la penisola, per mostrare quanto sia grande ed esteso il movimento contro la guerra. La risposta è stata importante. Più di 120 città e più di 100.000 persone sono scese in strada per chiedere il cessate il fuoco, negoziati e una conferenza internazionale di pace. Certo, in Italia il movimento per la pace è probabilmente il meglio organizzato, rispetto ad altri Paesi dell’Europa occidentale, dato il profondo radicamento in particolare della Chiesa cattolica e dei sindacati. Ma questo di per sé non spiega quanto sta succedendo. Alla fine, in tutte le città, c’è stato un gruppo di persone che ha deciso di fare qualcosa, o meglio: che ha sentito il disperato bisogno di fare qualcosa. E che, un paio di giorni dopo, ha visto che molte altre persone hanno avuto lo stesso impulso a esprimere la loro opinione in quei giorni particolari.
L’ampia gamma di iniziative pacifiste organizzate in molti Paesi nel quadro della rete EuropeforPeace in occasione del primo anniversario della guerra condivide la stessa spinta a porre fine al conflitto. E mostra che l’opinione pubblica sta lentamente cambiando. A questo punto diventa importante anticipare una situazione in cui potrebbe verificarsi un cambiamento di atteggiamento nei confronti della guerra.
I movimenti sociali nascono come protesta contro lo stato delle cose, ma la loro crescita dipende dai successi che ottengono. In questo caso non si tratta del successo di una delle parti in guerra, né si tratta di trasformare il conflitto da una dimensione militare a una nonviolenta, né possiamo pensare alla diserzione di massa dei soldati di entrambe le parti. Anche l’interruzione della fornitura di armi a una delle parti sarebbe un successo inadeguato. L’unico successo a cui possono aspirare i pacifisti è un’iniziativa politica e diplomatica che possa portare a un cessate il fuoco e a negoziati di pace.
Ma come può il movimento per la pace intervenire a questo livello, soprattutto se ormai Russia e Stati Uniti sono gli attori dominanti nell’arena politica? Se, ad esempio, il governo italiano subordinasse ufficialmente la fornitura di armi all’Ucraina all’avvio di trattative di pace, sarebbe un successo per il movimento pacifista italiano, ma non cambierebbe davvero la situazione della guerra.
La questione è più complessa. Il movimento per la pace non è un movimento sociale come un altro. La sua ragion d’essere è in qualche modo più vicina al movimento ecologista, riguarda la sopravvivenza. Ha a che fare con l’essere radicale, almeno su alcuni piani di attività.
In questo momento, l’azione più radicale che i pacifisti possono realizzare è aprire la strada a negoziati per un cessate il fuoco e per una possibile soluzione diplomatica. Dovremmo ricordarci del “processo di Oslo”: all’inizio degli anni ’90 Israele e Palestina erano in preda alla violenza; in Norvegia un gruppo di attivisti e ricercatori sui conflitti avviò allora un dialogo, per lungo tempo rimasto invisibile, tra funzionari di basso livello di entrambe le parti. Quando il conflitto entrò in una fase di stallo, quello di Oslo divenne il tavolo su cui le due parti arrivarono a una soluzione negoziata, la migliore che la regione abbia mai avuto.
Seguiamo con grande interesse e speranza la proposta di mediazione avviata dal presidente del Brasile Lula, che da subito si è schierato contro la guerra e ha avviato contatti e incontri con altri capi di Stato per costruire una coalizione di paesi contro la guerra.
È tempo di costruire pace e sicurezza comune e tutte le strade devono essere esplorate. Per questo EuropeforPeace ha accettato immediatamente l’invito dell’International Peace Bureau a co-organizzare un vertice internazionale per la pace il 10 e 11 giugno 2023 a Vienna, la città dove ha sede l’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, forse l’unica organizzazione internazionale in cui i funzionari russi possono ancora partecipare. Forse è giunto il momento di iniziare a parlarsi, anche se solo tra delegati di secondo piano. Forse è il luogo e il momento giusto.