La posizione e le proposte di Rete Pace Disarmo sulle missioni militari all’estero per il 2023
In queste ultime settimane il Parlamento sta analizzando (in sede di Commissioni competenti) la Deliberazione del Governo sulla prosecuzione delle missioni internazionali di natura militare e delle iniziative di cooperazione allo sviluppo in corso e l’avvio di nuove missioni internazionali per il 2023. Anche la Rete Italiana Pace e Disarmo, così come altre organizzazioni della società civile ed esponenti dell’Accademia, ha avuto la possibilità di interagire con il dibattito in corso tramite un’Audizione informale (svoltasi lo scorso 31 maggio presso la Camera dei Deputati). In tale occasione è stato posto all’attenzione dei Parlamentari un documento tematico elaborato in coordinamento con AOI (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) per la parte riguardante la cooperazione internazionale.
I punti principali della comunicazione al Parlamento su questo tema da parte di Rete Pace Disarmo hanno riguardato le problematiche tempistiche di discussione derivanti da ritardi governativi, la poca trasparenza della procedura, la necessità di una reale valutazione dei risultati ottenuti (sulla base di criteri predefiniti) per non rischiare di considerare come in passato questi ingenti fondi (circa 1,7 miliardi di euro in totale di cui 1,4 per usi militari) come una mera “stampella” del Bilancio della Difesa.
Alcuni punti centrali del documento presentato al Parlamento
Diamo ovviamente per acquisiti i dati di base della Deliberazione del Governo sulle proroghe e sulle nuove missioni, sia grazie gli interventi illustrativi già svolti in sede di Commissione dai relatori sia grazie al puntuale lavoro di riassunto delle schede elaborate dai servizi studi parlamentari.
Per quanto riguarda i dati di natura finanziaria facciamo riferimento anche alle analisi dell’Osservatorio Mil€x sulle spese militari che ha seguito da tempo la tematica delle missioni militari realizzando anche tabelle di paragone con le decisioni degli scorsi anni (lavoro condotto anche dagli uffici studi parlamentari). A tal riguardo ci sembra in particolare rilevante sottolineare l’aumento strutturale di uomini, missioni, assetti nell’area dell’est Europa in relazione con la situazione di conflitto di Ucraina. Un confronto che è stato realizzato sulla base delle missioni standard presenti nelle deliberazioni del 2022 e del 2023, senza considerare dispiegamenti in un certo senso d’urgenza che si sono verificati alla fine del 2022 ma che ora sono stati assorbiti nelle missioni strutturate (in particolare ci riferiamo alla Very High Readiness Joint Task Force VJTF).
Quello delle ritardate tempistiche di discussione della Deliberazione è un problema rilevante e già sottolineato anche da Parlamento e, recentemente, da membri del Governo (cosa che rileviamo positivamente). Fino alle missioni relative al 2019 le trasmissioni dei documenti governativi erano state fatte abbastanza in linea con le prescrizioni di legge, con conseguenti approvazioni parlamentari in tempi consoni. Dal 2020 le Deliberazioni sono state trasmesse tra maggio e giugno, con approvazioni slittate tra luglio e settembre (e decreti di ripartizione fondi arrivati ad essere approvati anche ad ottobre). Tale situazione non è a nostro parere accettabile perché di fatto trasforma il Parlamento in un mero organo di ratifica delle decisioni governative allontanandolo dalle sue funzioni di indirizzo e controllo, come invece auspicato dal legislatore.
Anche per effetto dello slittamento dei tempi appena evidenziato, ma non solo, si rileva la difficoltà (se non l’impossibilità) di collegare opportunamente il dibattito di Camera e Senato (e quello allargato) sulle missioni militari ad altre questioni. Si rileva in particolare l’assoluta mancanza di connessione, in termini di analisi e di discussione, con la tematica dell’export militare italiano.
Anche se viene richiamato, spesso retoricamente, in numerosi intervento politici (insieme al concetto di “Sistema Paese”, sia in politica estera che di difesa) riteniamo che non esista una reale definizione di “Interesse Nazionale”. Sia come linea di indirizzo delle politiche sia come metro di valutazione dei risultati e dell’efficacia delle scelte programmatiche, in particolare quelle relative alle missioni all’estero. Un tale passaggio è invece cruciale per qualsiasi successiva iniziativa di controllo e di ridefinizione delle missioni, pena il rischio di sviamento rispetto agli stessi obiettivi ipotizzati.
Oltre alla definizione di “interesse nazionale” a cui fare riferimento per le decisioni e valutazioni, è cruciale che tutte le missioni votate e prorogate siano in pieno allineamento anche con le norme internazionali e i Trattati di riferimento a cui l’Italia aderisce. Ciò deve riguardare sia la partecipazione a iniziative multilaterali che coinvolgono le organizzazioni internazionali di cui l’Italia è parte (Nazioni Unite e Unione Europea in particolare) sia il diritto internazionale umanitario e le norme sui diritti umani. Crediamo che sia cruciale ribadire che anche eventuali decisioni sul tema che pur siano in linea con un “interesse nazionale” (da definire) non possano ignorare i pilastri di diritto che devono rimanere fondamentali. Ciò vale soprattutto per le missioni di addestramento in zone del mondo con fragili istituzioni e in cui si possono andare ad incrociare comportamenti o attività non corrette o addirittura illegali.
Occorre creare ed implementare strutture e processi di valutazione delle missioni che siano chiari nei tempi, rispettati nei meccanismi e che siano aperti al contributo non solo delle strutture pubbliche ma anche di tutti gli stakeholder, in particolare la società civile e dell’accademia. In tal senso accogliamo positivamente le indicazioni del Ministro della Difesa Crosetto che in sede di recente audizione ha dichiarato: “Stiamo valutando l’introduzione di un sistema di valutazione degli effetti dei nostri interventi militari, tanto sul piano del miglioramento dell’ambiente di sicurezza quanto sul piano delle relazioni diplomatiche ed economiche”. Tale sistema di valutazione a nostro parere potrà essere efficace solo se realmente aperto e compartecipato dagli attori sopra citati, senza limitarsi a passaggi burocratici e inefficaci interni alla Difesa. In tal senso potrebbe essere utile la creazione di una Struttura (o Autorità) che possa controllare e valutare questo ed altri aspetti legati alle spese militari, all’export di armi, alle attività della Difesa.
Già da tempo è stato sottolineato (e in passato addirittura direttamente ammesso anche dai vertici della Difesa) che gli ingenti fondi destinati alle missioni militari all’estero (da almeno 10 anni di oltre 1 miliardo all’anno, e negli ultimi anni cresciute continuamente fino al livello attuale) possano configurare un sostegno “indiretto” al bilancio standard della Difesa. Un aspetto che va dibattuto e di cui occorre essere consapevoli per non avere motivazioni surrettizie per le richieste di effettivi e mezzi legati alle missioni all’estero.
Ribadiamo le nostre perplessità, già evidenziate in passato, relativamente ad alcune missioni militari di cui ancora una volta si richiede la proroga. In particolare ci riferiamo al dispiegamento in Libia con la relativa collaborazione con le autorità locali (sia per attività che per fornitura mezzi) oltre che tutte le presenze – sia bilaterali che multilaterali – dell’area del Sahel.
Negli anni scorsi grazie anche alla nostra attività di pressione si erano riusciti ad ottenere nell’ambito del dibattito parlamentare alcuni elementi innovativi relativamente alle missioni umanitarie, di cui al momento non sono chiari implementazione e rafforzamento. In particolare vorremmo che sia rispettato e rafforzato l’impegno a destinare una parte dei fondi anche alle organizzazioni non governative italiane e non solo agli enti multilaterali. Si era valutata in passato la creazione di uno stanziamento ad hoc che andasse oltre i contributi alle organizzazioni multilaterali e su tale linea riteniamo che sarebbero necessari passi più chiari e concordati. In tal tale ottica rileviamo invece con preoccupazione la diminuzione complessiva dei fondi per interventi di cooperazione e a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione: circa il 12% in meno per un totale di 358 milioni di euro (a fronte degli oltre 400 dello scorso anno). Anche AOI nella sua parte di analisi ha evidenziato preoccupazione per il fatto che le risorse destinate alle aree interessate da conflitti ed emergenze umanitarie sono state fortemente ridotte a livello quantitativo. Preoccupa inoltre la destinazione e il tipo di azione.