Come il conflitto armato impatta sul nostro ambiente
L’impatto ambientale della guerra è una questione complessa e urgente che richiede un’attenzione globale (anche da parte della società civile che lavora per la Pace e il disarmo) come primo passo per mitigare i danni, promuovere il risanamento ambientale e prevenire conflitti futuri
Oggi il mondo si trova ad affrontare livelli record di conflitto e violenza, con un impatto significativo sulle persone. Secondo alcune analisi, durante il 2023 sono stati registrati oltre 170 conflitti armati (e i primi dati sul 2024 appaiono ancora più preoccupanti). Alla fine dello stesso drammatico 2023 quasi 120 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a scappare dalle proprie case a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani ed eventi che turbano gravemente l’ordine pubblico. Se il costo umano della guerra è innegabile e profondo, anche l’ambiente subisce conseguenze immense, spesso trascurate, a seguito dei conflitti. Al di là della distruzione immediata, i conflitti armati sconvolgono gli ecosistemi, esauriscono le risorse naturali, inquinano l’ambiente e mettono a rischio la salute del nostro pianeta per le generazioni a venire.
Non è dunque un caso che le Nazioni Unite abbiano abbiano deciso di istituire già dal 2010 una Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in guerra e nei conflitti armati (prevista per il 6 novembre). Ormai è chiaro come l’impatto ambientale della guerra sia una questione complessa e urgente che richiede un’attenzione globale, anche da parte della società civile che lavora per la Pace e il disarmo.
L’impatto della guerra sulle risorse naturali
La guerra altera il delicato equilibrio della natura in molti modi. I danni ambientali hanno conseguenze devastanti sulle risorse naturali, sugli ecosistemi critici e sulla salute, il sostentamento e la sicurezza delle persone. Quando le foreste vengono disboscate per scopi militari, i terreni fertili e le risorse idriche vitali possono essere contaminati.
Le strutture spesso eliminano la vegetazione o interrompono in altro modo gli ecosistemi per eliminare la copertura per i combattenti nemici o rendere inabitabili le aree, così costringendo le popolazioni locali ad andarsene, con gravi impatti sulla natura. Le comunità locali hanno ad esempio denunciato l’uso di queste tattiche durante la guerra civile in Sudan e in Iraq, dove sono state prosciugate le zone umide.
In Ucraina, vaste aree sono a rischio di contaminazione da mine e ordigni inesplosi. Il suolo, i corsi d’acqua e le foreste sono stati inquinati da bombardamenti, incendi e inondazioni. La rimozione delle mine e degli ordigni inesplosi spesso richiede decenni e investimenti significativi. In Ucraina, i costi previsti al momento per tale bonifica ammontano a circa 34,6 miliardi di dollari.
A Gaza si è verificato un completo degrado del suolo, dell’acqua, della terra e dell’agricoltura. I sistemi e le strutture di gestione delle fognature, delle acque reflue e dei rifiuti solidi sono crollati. La distruzione di edifici, strade e altre infrastrutture ha generato milioni di tonnellate di detriti, alcuni dei quali contaminati da ordigni inesplosi, amianto e altre sostanze pericolose. Un indicatore di tale devastante impatto è l’aumento dei tassi di malattie trasmissibili a Gaza: nei tre mesi successivi all’escalation del conflitto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riportato 179.000 casi di infezioni respiratorie acute e 136.400 casi di diarrea tra i bambini al di sotto dei cinque anni, un chiaro segnale dell’impatto della distruzione delle opere pubbliche.
Inoltre, in alcuni Paesi, è stata proprio l’abbondanza di risorse naturali ad aver alimentato i conflitti armati. Le pratiche di estrazione mineraria, disboscamento e bracconaggio non sostenibili perpetuano la violenza e devastano l’ambiente in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, dove l’estrazione di cobalto e coltan per le batterie ricaricabili continua ad alimentare il conflitto nella parte orientale.
Emissioni e inquinamento
Secondo uno studio di Scientists for Global Responsibility e dell’Osservatorio Conflitti e Ambiente (CEOBS), le Forze Armate e le strutture militari sono responsabili di circa il 5,5% delle emissioni globali di gas serra. L’uso massiccio di energia derivante dai conflitti aggrava la crisi climatica, sia attraverso le emissioni dirette di gas serra prodotte dalle attività militari, sia attraverso gli effetti indiretti a livello globale. Le emissioni derivanti dalle attività militari – sia per il mantenimento degli eserciti che per l’effettivo impegno nei conflitti – non sono state pienamente coperte dal Protocollo di Kyoto del 1997 o dall’Accordo di Parigi del 2015, con riserve avanzate dagli Stati per motivi di sicurezza nazionale.
I danni ai siti industriali chimici causano incendi e rilasciano inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, creando rischi significativi immediati e a lungo termine per la salute umana e l’ambiente a causa della contaminazione. Durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, centinaia di incendi di pozzi petroliferi bruciarono in modo incontrollato in Kuwait, con ripercussioni sulla qualità dell’aria su scala globale. Secondo quanto riferito, più di 600 pozzi petroliferi sono stati distrutti o incendiati, causando il rilascio giornaliero di fino a 500.000 tonnellate di inquinanti che hanno influenzato la qualità dell’aria degli Stati circostanti. Durante la guerra di 34 giorni tra Israele e Libano nel 2006, il bombardamento della centrale elettrica di Jiyeh in Libano ha provocato il rilascio di 10.000-15.000 tonnellate di petrolio nel Mar Mediterraneo, interessando la maggior parte della costa libanese ed estendendosi in parte alla Siria. La fuoriuscita ha provocato la morte di uccelli marini e di animali marini.
I conflitti armati utilizzano grandi quantità di munizioni contenenti metalli pesanti, uranio impoverito e sostanze chimiche esplosive, tutte tossiche anche in quantità modeste, con impatti devastanti sulla salute umana e sull’ambiente.
Dai terreni contaminati e dai corsi d’acqua inquinati al rilascio di sostanze tossiche e gas serra, il tributo ambientale della guerra è immenso e di vasta portata. Riconoscere questo impatto è il primo passo per mitigare i danni, promuovere il risanamento ambientale e, in ultima analisi, prevenire i conflitti futuri.