Disarmo climatico, pace, sostenibilità e futuro
Viviamo un’epoca di profondi e veloci cambiamenti che richiede l’assunzione di nuove visioni, prospettive e capacità di analisi. Anche la nostra Rete deve porsi in questa ottica, perché i temi della pace oggi, vedono nuove interconnessioni con molti aspetti della crisi sociale e ambientale che stiamo vivendo a livello globale.
Tutto è profondamente interconnesso e i fenomeni ambientali e sociali che si stanno determinando devono essere affrontati in un’ottica di sostenibilità che di fatto deve scardinare l’esistente, perché attecchiscano processi diversi, positivi e nonviolenti sia a livello globale che locale.
In particolare, la pace assume in quel contesto, e anche nella prospettiva della dichiarazione delle Nazioni Unite Transforming Our World: 2030 Agenda for Sustainable Development, la doppia valenza di essere premessa e conseguenza di questo cambiamento. Per questo è importante che ci sia a partire da reti come la nostra, la capacità di leggere profondamente le interconnessioni che mettano al centro una autentica cultura pacifista e capacità di azione nonviolenta.
La militarizzazione della pace: il disarmo climatico
Assistiamo sempre di più alla militarizzazione della pace. Politica e mondo militare si uniscono per fa fronte alle situazioni di crisi ambientale e sociale, in una logica in cui la causa viene fatta apparire come una soluzione. Assistiamo ad una continua gestione delle emergenze, da quelle climatiche, a quelle migratorie e sanitarie, affrontate con l’intervento degli eserciti, invece che con istituzioni civili, politiche condivise e modalità nonviolente.
Si parla molto poco dell’impronta insostenibile dell’industria bellica e del suo contributo alla crisi climatica. Per dare una dimensione del fenomeno, le sole spese militari europee ricadono sul cambiamento climatico come le emissioni di 14 milioni di automobili.
Occorre non arrendersi alla militarizzazione della crisi, ma puntare a un disarmo climatico, a un cambiamento radicale con atteggiamenti trasformativi nonviolenti. La transizione ecologica si deve realizzare in un’ottica di giustizia sociale, affrontando i problemi in una dimensione globale e prevedendo azioni e prospettive di lungo termine e respiro, che facciano entrare in una gestione consapevole dei processi che caratterizzano questa fase di cambiamento, uscendo dalla logica emergenziale.
In quale direzione dobbiamo andare per lavorare al disarmo climatico?
- Pretendere trasparenza dalle industrie militari che forniscano dati su impronta ecologica e armamenti;
- Costruire campagne di advocacy radicalmente trasformative in una logica di valutazione della messa a terra dei principi e degli obiettivi dell’Agenda 2030;
- Costruire una narrativa rispetto al disarmo climatico, che contrasti la narrativa su crisi climatica e emergenza, posta dall’apparato militare e dal sistema capitalistico.
Oltre l’era del petrolio, le nuove frontiere del conflitto ambientale
Il rapporto fra pace e ambiente prevalentemente nel passato è stato letto attraverso la relazione che intercorreva fra guerre e petrolio. Ma oggi questo rapporto vede la forte emersione di altri ambiti di conflitto: controllo dell’acqua, controllo delle terre fertili, deforestazione, accaparramento di materie prime rare, che portano a fenomeni predatori incontrollati delle risorse dei territori, di distruzione degli ecosistemi e allo sfruttamento dei lavoratori. Intorno a queste situazioni ci sono forme di controllo armato a tutela di interessi economici che travalicano completamente gli interessi delle popolazioni che possiedono queste risorse. Tutto questo, spesso poco conosciuto, deve invece, pesantemente interrogare i paesi più sviluppati, destinatari unici di quelle risorse, rispetto alla sostenibilità del proprio modello di sviluppo e dei propri stili di vita.
La stessa transizione ecologica perché sia anche giusta, va gestita con la consapevolezza dei costi ambientali e sociali e potenziali e reali conflitti che ci sono dietro ad ogni processo.
In primis il ruolo sempre più importante che stanno assumendo le nuove tecnologie come risposta per l’attivazione di politiche e modelli di produzione e consumo più sostenibili, non è sufficientemente accompagnato dalla consapevolezza dei costi ambientali e sociali generati dall’estrazione delle materie prime che occorrono per produrre mezzi e strumenti come batterie per auto elettriche, tablet, schermi, ecc..
Nei territori così detti delle terre rare, infatti, ci sono continui conflitti e guerre per l’accaparramento dei metalli indispensabili per la produzione tecnologica, come il cobalto, il litio, il nichel… Nel solo Congo, ad esempio, che possiede più del 50% delle riserve mondiali di cobalto, ci sono ben 122 milizie armate per il controllo degli interessi economici di quel territorio.
A fronte di questo, i paesi tecnologicamente più avanzati, non stanno investendo sulla ricerca di un virtuoso riciclo di questi materiali, di cui attualmente se ne recupera solo l’1%.
Così come non si ha consapevolezza di quanto i nostri stili di vita alimentari sempre incentivati per quantità e qualità, incidono sulla disponibilità del cibo a livello mondiale e quindi, anche dei conflitti che intorno ad esso si generano e dei processi migratori che ne conseguono (basti pensare al rapporto fra il consumo di carne nell’America del nord e la deforestazione del Centro e Sud America!). Pur equivalendo l’impatto globale della produzione di cibo al 30% della produzione delle emissioni climalteranti, esso non è comunque distribuito in maniera sufficiente e dignitosa in tutto il Pianeta, creando squilibri ambientali e disuguaglianze nell’accesso di diritti di base. Occorre andare verso uno sviluppo delle politiche alimentari a basso impatto, disponibili per tutti in modo equilibrato e sano.
E’ importante e va sostenuto quanto sta facendo in tal senso L’Unione Europea con la strategia Farm to Fork, che punta a rendere il sistema alimentare europeo più sostenibile sotto diversi aspetti, riducendo anche il suo impatto sui Paesi terzi.
Pace, sostenibilità e futuro: quale opportunità può rappresentare l’agenda 2030
Nell’agenda 2030 la pace è una delle condizioni irrinunciabili per la realizzazione dello sviluppo sostenibile, in quanto profondamente interconnessa all’obiettivo cardine del contrasto ai cambiamenti climatici, alla tutela dei diritti delle persone nell’ottica del superamento delle disuguaglianze e all’affermarsi di una economia di prosperità e benessere diffusi.
Una prospettiva che ha il suo valore nella dimensione in cui l’agenda 2030 rappresenta un’azione multilaterale e di convergenza a livello globale in cui tutti sono invitati al cambiamento, dai governi alle comunità, ma che va letta e declinata nella complessità della sua realizzazione.
Per questo non parliamo solo di pace come assenza di guerre e conflitti, ma di una pace positiva dove le persone possono sviluppare proprie capacità e aspettative.
Per costruire un percorso verso la pace positiva occorre che:
– Gli obiettivi (SDG) non sono da considerare l’agenda, ma sono i principi che la regolano che devono ispirare nuove politiche e modelli di governance: la prospettiva che essi ci indicano è che non c’è transizione ecologica senza giustizia sociale e senza diritti, che il superamento delle disuguaglianze è condizione per uno sviluppo che deve essere accessibile a tutti se vuole essere sostenibile.
-Sia coerente e interdipendente il rapporto fra azioni locali e governance globale. Occorre, infatti, correggere i difetti sistemici a livello globale per poter connettere l’agenda interna con l’agenda esterna, verso una visione complessiva che prevede un impegno per la lotta alle disuguaglianze, per la pace e i diritti. Già ad esempio, questo approccio è smentito dal governo italiano che fra le priorità dell’attuazione dell’agenda 2030 individua prosperità, persone, pianeta, ma non la pace.
Interazioni su cui lavorare anche a partire da alcune contraddizioni presenti nell’Agenda 2030:
- enfatizzazione dell’aumento delle produzioni alimentari e qualità e sostenibilità dei processi produttivi e equa distribuzione
- migrazioni generate da conflitti per il cambiamento di sistemi di produzione e riconoscimento dello status di migrante climatico
- monitoraggio da parte del Governo della legge 85/1986 e indicatori dell’attuazione nazionale dell’agenda per lo sviluppo sostenibile rispetto al commercio e mercati di armi.
Nuovi fenomeni per vecchi processi: la rete si fa protagonista di connettere ed elaborare riflessioni e azioni per l’ambiente e la pace
La stretta relazione fra pace e ambiente è da tempo un tema centrale nella riflessione del movimento pacifista e ambientalista, ma che oggi vede un intensificarsi di fenomeni e di intrecci che vanno rifocalizzati e intorno ai quali vanno costruite azioni ed iniziative.
I cambiamenti climatici stanno fortemente condizionando il destino del Pianeta e dell’umanità: la salvaguardia del clima non è più uno dei temi, ma forse il tema principale su cui costruire alleanze e convergenze, è la cornice politica che tiene tutto connesso, è l’indicatore che ci fa comprendere la giustizia delle azioni che intraprendiamo.
Siamo in una cornice necessaria ma anche estremamente complessa che come Rete Pace e Disarmo dobbiamo contribuire a definire anche a partire dalle strette relazione con la pace e la giustizia, per questo organizzeremo nei prossimi mesi, per la primavera 2022, una iniziativa di confronto e approfondimento su guerre e clima, per essere e rendere consapevoli anche gli altri di cause, impatto e conseguenze di questa relazione.
Documento elaborato a partire da un percorso di confronto collettivo (con approfondimento tematico seminariale) ed approvato dall’Assemblea nazionale della Rete Italiana Pace e Disarmo – Settembre 2021