CONFLITTI e MIGRANTI, l’altra faccia della crisi climatica

CONFLITTI e MIGRANTI, l’altra faccia della crisi climatica

Armando Campana, Beati i Costruttori di Pace di Padova

  1. INTRODUZIONE
  2. METODOLOGIA
  3. I MIGRANTI CLIMATICI
    1. Rapporti ONU e Banca Mondiale
    1. Indicazioni Pastorali
    1. Riconoscimento sociale e giuridico
  4. CLIMA e CONFLITTI
    1. Fattore di rischio
    1. Disarmo climatico
  5. GIUSTIZIA CLIMATICA
  6. INDICAZIONI per gli APPROFONDIMENTI

1.   INTRODUZIONE

L’ultimo rapporto IPCC del 2021 ha confermato la gravità della crisi ambientale prodotta dai cambiamenti climatici, ma questa emergenza climatica non è “democratica”, ma ha un impatto maggiore sui paesi e sulle popolazioni più vulnerabili. Le regioni più povere del mondo subiranno maggiormente le conseguenze di fenomeni di lunga durata (desertificazione, innalzamento del livello marino, scarsità d’acqua) e subiranno i danni da fenomeni metereologici estremi (cicloni, mareggiate, ecc.). Come conseguenza, molte persone saranno obbligate ad emigrare.

I cambiamenti climatici modificano anche la geopolitica, poiché influenzano la distribuzione e l’approvvigionamento di risorse, questo potrebbe determinare tensioni all’interno di un paese, con pericoli per le istituzioni e i diritti dei cittadini, e rischi di conflitti fra stati.

Entrambi questi fenomeni rimangono sottotraccia nel dibattito sui cambiamenti climatici, mentre dovrebbero essere oggetto di crescente attenzione e richiedere risposte sia a livello nazionale che internazionale. https://www.youtube.com/watch?v=OYtZO0iqTME

2.   METODOLOGIA

Gli argomenti presentati possono essere trattati seguendo la traccia proposta, ma si prestano anche ad essere trattati singolarmente (migrazioni, conflitti, giustizia climatica) focalizzando il lavoro solo su uno di essi. La problematica affrontata si presta anche a eventuali collegamenti e approfondimenti con altre tematiche, a titolo esemplificativo se ne indicano due: fame e povertà, disarmo e spese militari.

Molti dei temi affrontati rientrano negli obiettivi dell’Agenda 2030.

Prima di affrontare questo percorso potrebbe essere utile proporre agli studenti un breve questionario su migrazioni/conflitti e crisi climatica (1) ,in modo da partire da quello che è il loro vissuto.

Alla fine di ogni paragrafo sono indicati i link che rimandano ad alcuni brevi video

(1) Ad es.: https://openmigration.org/quiz/

https://www.cartadiroma.org/news/in-evidenza/quiz-quanto-ne-sai-dei-rifugiati-nel-mondo/ utili a completare la trattazione dell’argomento o fruibili, ad es. in una presentazione ppt, mentre in sitografia sono indicati film, documentari e video di interviste e dibattiti, che consentono un ulteriore approfondimento.

3.   I MIGRANTI CLIMATICI

  • I rapporti ONU e Banca Mondiale

Philip Alston, relatore delle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, nel giugno 2019 ha presentato un rapporto nel quale si sottolinea il fatto che saranno i poveri a subire le conseguenze più violente del cambiamento climatico, in questo contesto i paesi maggiormente coinvolti saranno quelli che già si trovano nelle regioni più povere del mondo, ma che emettono solo il 10% delle emissioni di gas serra totale (“Chi ha meno responsabilità subirà più danni” ha detto Alston). Questo farà sì che le persone si troveranno ad affrontare scarsità di cibo ed un peggioramento delle loro condizioni di salute e saranno costrette a migrare. Alston sottolinea che il cambiamento climatico potrebbe azzerare i progressi fatti in materia di diritti umani, salute globale e riduzione della povertà negli ultimi 50 anni e prospetta l’avvento di un “apartheid climatico dove i ricchi pagano per fuggire dal surriscaldamento, dalla fame e dai conflitti mentre il resto del mondo rimane lì a soffrire”, quindi “il cambiamento climatico sarà soprattutto un problema dei poveri”.

Secondo Alston sono a rischio anche la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, poiché i governi potrebbero adottare delle misure restrittive dei diritti e delle libertà fondamentali per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. Il rapporto sottolinea che la situazione attuale è frutto di un’irresponsabilità comune a organizzazioni non governative, imprese e stati, che hanno finora sottovalutato queste conseguenze della crisi climatica e hanno adottato strategie del tutto inadeguate alla proporzione della sfida, disattendendo sistematicamente gli obiettivi posti per il contenimento dei fenomeni climatici. Prosperità economica, diritto a un lavoro decente e sostenibilità ambientale sono compatibili, si legge nel rapporto, se si modifica il modo in cui Stati e imprese hanno tradizionalmente affrontato la crisi ambientale.

Il rapporto della Banca Mondiale (Groundswell 1) pubblicato nel marzo 2018 mostra che se non si farà nulla per ridurre il riscaldamento globale e per scongiurare le migrazioni con progetti di sviluppo, entro la metà del secolo, gli spostamenti di popolazioni potrebbero coinvolgere più di 140 milioni di persone.

Il rapporto ha preso in esame tre regioni che comprendono il 55 per cento della popolazione del mondo in via di sviluppo: Africa sub-sahariana, Asia meridionale e America Latina. Le proiezioni sul numero di migranti climatici sono state calcolate incrociando indicatori come la crescita della temperatura, l’evoluzione delle precipitazioni, l’innalzamento del livello dei mari, nonché dati demografici e socio- economici. Lo studio spiega che il cambiamento climatico è un fattore di migrazione interna, questi spostamenti sono poco seguiti perché spesso avvengono lentamente e le persone coinvolte sono poco considerate.

Come nel rapporto Alston viene sollevato una questione di giustizia ambientale perché coloro che hanno contribuito meno al riscaldamento globale sono costretti a sopportarne la maggior parte del peso.

I modelli hanno esaminato come le popolazioni potrebbero spostarsi se le emissioni di gas serra diminuissero e quello che potrebbe accadere se le emissioni continuassero con il trend attuale, inoltre hanno valutato i casi in cui la programmazione alleviava la disuguaglianza economica, e altri in cui la disuguaglianza si aggravava. Nello scenario in cui le emissioni continuano a salire e lo sviluppo rimane diseguale, la migrazione riguarda circa 143 milioni di persone entro il 2050 (86 milioni in Africa sub-sahariana, 40 milioni in Asia meridionale e 17 milioni in America Latina), mentre affrontare entrambi i problemi riduce il numero dei migranti fino a 31 milioni in tutte e tre le regioni.

Gli autori spiegano che il rapporto è da intendere come una guida su che cosa potrebbe accadere e un aiuto per pianificare la risposta a potenziali sconvolgimenti, sperando “che questo rapporto possa portare a una sensibilizzazione sul problema e stimolare un po’ di volontà politica” e che spetta ai paesi sviluppati affrontare il problema, sia limitando le emissioni di gas serra sia finanziando le nazioni in via di sviluppo in progetti che contrastino la migrazione climatica.

Nel secondo rapporto della Banca Mondiale (Groundswell 2) stilato nel settembre 2021 in vista della COP26 di Glasgow, emerge che 216 milioni di persone saranno spinte ad abbandonare le proprie case entro il 2050. Il nuovo rapporto della World Bank fornisce analisi e proiezioni sui migranti climatici per diverse regioni: Asia orientale e Pacifico, Nord Africa, Europa orientale e Asia centrale e mostra che l’impatto della crisi climatica sulle popolazioni più vulnerabili si sta manifestando più velocemente di quanto previsto in precedenza.

Il rapporto della Banca Mondiale chiarisce che la migrazione climatica già entro il 2030 potrebbe giungere a un punto critico per intensificarsi ulteriormente nel 2050. L’Africa subsahariana è stata identificata come la regione più vulnerabile a causa della desertificazione,  delle coste fragili e della dipendenza della popolazione dall’agricoltura. Il rapporto sottolinea che la migrazione interna potrebbe ridursi dell’80% (coinvolgendo “solo” 44 milioni di persone) con azioni mirate e improntate su sviluppo sostenibile e drastico calo delle emissioni e fornisce una serie di raccomandazioni politiche che possono aiutare a rallentare i fattori che guidano la migrazione climatica e prepararsi ai flussi migratori previsti: https://www.internazionale.it/video/2021/03/17/crisi-climatica-fame-mondo https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2018/03/19/climate-change- could-force-over-140-million-to-migrate-within-countries-by-2050-world-bank-report https://www.youtube.com/watch?v=JmVdkXThMUg&t=46s

3.b  Indicazioni Pastorali

Nel marzo 2021 la Santa Sede ha pubblicato il documento Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Climatici” che contiene fatti, interpretazioni, politiche e proposte rilevanti sul fenomeno degli sfollati climatici.

Il documento si sviluppa in 10 punti e chiarisce il nesso tra crisi climatica e sfollamento e vuole promuovere la consapevolezza sulla questione e contrastare l’indifferenza della società e dei governi di fronte a questa tragedia. Papa Francesco propone di «riprendere la famosa frase pronunciata da Amleto, “essere o non essere”, e di trasformarla in “vedere o non vedere, questo è il problema!”, tutto, infatti, inizia dalla consapevolezza che questa è la grande emergenza della nostra epoca.

Nel documento si usa il termine “crisi climatica” per sottolineare la gravità del problema e si parla di sfollati climatici (Climate displaced people) spiegando che le persone che sono costrette a lasciare le proprie abitazioni solitamente si spostano all’interno del proprio paese in periferie pericolosamente sovraffollate o in insediamenti improvvisati.

Nell’introduzione papa Francesco sottolinea che le persone siano costrette a migrare perché l’ambiente in cui vivono “non è più abitabile, ci potrebbe sembrare un processo naturale, qualcosa di inevitabile, eppure, il deterioramento del clima è molto spesso il risultato di scelte sbagliate e di attività distruttive”. Seguono 10 punti: il primo chiarisce il nesso tra crisi climatica e sfollamento, cita qualche numero acquisito dalla letteratura scientifica e istituzionale: “Si stima che dal 2008 al 2018 siano state sfollate a causa di calamità naturali oltre 253,7 milioni di persone, un numero da tre a dieci volte superiore, a seconda della regione in questione, rispetto al numero di sfollati provocato da conflitti armati in tutto il mondo”. I nove punti successivi si concentrano su aspetti particolari del fenomeno, a partire dalla necessità di promuovere consapevolezza dell’impatto che la crisi climatica ha sull’esistenza umana. Talvolta si possono evitare le partenze affrettate, trovando alternative allo sfollamento climatico (terzo punto). Nel caso la partenza sia inevitabile, allora occorre preparare le persone allo sfollamento (quarto punto), promuoverne l’inclusione e l’integrazione con le comunità che li ricevono (quinto punto), esercitare un’influenza positiva sui processi decisionali che li riguardano (sesto punto) e garantirne la cura pastorale (settimo punto). L’ottavo punto è dedicato alla cooperazione tra tutti gli attori nell’azione strategica a favore degli sfollati climatici. Il nono si concentra sulla promozione della formazione professionale in ecologia. L’ultimo punto sottolinea la necessità di incrementare la ricerca accademica sulla crisi climatica e sullo sfollamento ad essa connesso.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-08/storia-laudato-si-tempo-creato- casa-per-tutti.html

Altri documenti, studi accademici (es. Columbia University, CNR) e rapporti di associazioni (es. Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, ong Oxfam) sulla relazioni fra flussi migratori e cambiamenti climatici, seppur più parziali, confermano la tendenza descritta precedentemente.

3.c  Riconoscimento sociale e giuridico

Nonostante i cambiamenti climatici abbiano superato le guerre come causa di migrazioni forzate la consapevolezza sociale del fenomeno è parziale e la protezione internazionale per gli spostamenti indotti dal clima è limitata. Questo perché le migrazioni climatiche sono un fenomeno difficile da inquadrare, tanto a livello giuridico quanto su un piano causale.

Lo sfollamento interno (Idp, internally displaced people) associato a cambiamenti climatici è un fenomeno complesso da mappare, non è facile stabilire quando una migrazione è causata direttamente dal clima. I fattori che orientano i flussi migratori sono tanti e complessi, da quelli sociali a quelli economici a quelli politici, e la crisi climatica non è altro che un amplificatore di tali minacce. Come spiegano i ricercatori dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM) “per le stesse persone che migrano è complicato capire che dietro le motivazioni della loro scelta c’è il cambiamento climatico, è molto più chiaro pensare che si sta migrando perché si è alla ricerca di una vita migliore o di un nuovo lavoro”. Il Global Compact del 2018 riconosce la crisi climatica come fattore fondamentale per il movimento delle persone nei prossimi anni e sollecita i governi a formare piani per prevenire le migrazioni climatiche, ma tale accordo non è giuridicamente vincolante né sufficientemente elaborato per affrontare la complessità del fenomeno.

Anche per la giurisprudenza non è banale determinare chi siano i rifugiati ambientali e climatici, la Convezione di Ginevra sui rifugiati del 1951, elenca una serie di situazioni che determinano lo status di rifugiato che però non sono riconducibili a condizioni ambientali. Solitamente gli stati che concedono protezione si rifanno ad altri “istituti” giuridici (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, o la Convenzione Internazionale dei Diritti Civili e Politici del 1966 ), ma esistono anche riferimenti alla normativa internazionale, quello più noto è relativo alla Nuova Zelanda. Nel 2015 un cittadino delle isole Kiribati (arcipelago di isole dell’Oceania, soggette all’innalzamento del livello del mare) chiese protezione umanitaria al governo neozelandese . A inizio 2020 la commissione Onu per i Diritti Umani rifiutò la sua richiesta, perché la Repubblica di Kiribati, potrebbe adottare misure per proteggere o ricollocare la popolazione. Ne emerge il principio “niente statuto di rifugiato se un Paese si adopera direttamente per affrontare problemi ambientali e climatici”, quindi implicitamente si riconosce il fatto che le persone che fuggono dagli effetti dei cambiamenti climatici e dei disastri naturali non dovrebbero essere rimpatriate nel loro Paese di origine se non sono state intraprese azioni concrete contro il cambiamento climatico.

Stessa impostazione è stata adottata in Italia: nel marzo 2021 una sentenza della Cassazione afferma che “lo stato di rifugiato include non solo l’esistenza di una situazione di conflitto armato, ma anche altre situazioni che azzerano o riducono i diritti fondamentali alla vita e alla libertà, compresi i casi del disastro ambientale e del cambiamento climatico” La sentenza inoltre cita proprio il caso neozelandese:   “con una chiara evidenza di un problema ambientale o climatico la richiesta può essere accettata, mentre se nel Paese ci sono politiche di mitigazione e adattamento al climate change la richiesta può essere rifiutata”.

Una terza ragione del mancato riconoscimento sociale e giuridico di questo fenomeno è un clima politico poco favorevole in gran parte dei paesi occidentali, infatti molti temono che sia una strada che aprirebbe la possibilità della richiesta di asilo a milioni di persone, situazione che sembra adattarsi poco agli attuali umori politici di gran parte dei paesi occidentali. Spesso le migrazioni sono viste come un rischio per la sicurezza regionale, ed il risultato è quello di rafforzare i controlli migratori, ridurre i flussi, e lasciare in secondo piano la protezione degli esseri umani. https://migrazioniontheroad.largemovements.it/kiribati-rifugiati-ambientali/

4.    CLIMA e CONFLITTI

  • Fattore di rischio.

Nella storia una delle cause principali delle guerre è stata la scarsità delle risorse e a provocarla, spesso, è stata la situazione climatica e ambientale. Le condizioni meteorologiche estreme provocate dai cambiamenti climatici possono danneggiare le economie, ridurre la produzione agricola e intensificare l’ineguaglianza tra i gruppi sociali. Questi fattori, se combinati con altri elementi di conflitto, possono far aumentare i rischi di conflitti o guerre civili. Inoltre i cambiamenti climatici possono modificare gli equilibri geopolitici di influenza territoriale e commerciale, generando nuove tensioni fra gli stati.

Secondo uno studio della Stanford University pubblicato su Nature nel maggio 2019 “L’intensificazione dei cambiamenti climatici aumenterà il rischio futuro di conflitti armati violenti all’interno dei Paesi”. Il team di esperti che ha condotto la ricerca è concorde su questo, anche se diverge sul peso che il cambiamento climatico ha nello scatenare un conflitto o una guerra civile.

Di seguito vengono illustrati esempi concreti, già oggi individuabili, dell’influenza dei cambiamenti climatici sulle situazioni di conflitto reale o potenziale.

Guerra civile in Siria. Esiste una forte connessione tra la straordinaria siccità che colpì la Siria tra il 2006 e il 2009 e la guerra civile del marzo 2011. Il crollo della produzione agricola, diminuita di circa un terzo, spinse un milione e mezzo di persone dalle campagne verso le periferie delle città, contemporaneamente si verificò un enorme aumento delle malattie legate all’alimentazione dei bambini. Tutto questo fece montare le proteste che hanno poi scatenato la guerra civile, che ha provocato più di 200.000 morti e milioni fra rifugiati e sfollati.

Guerra del Darfur (2003). Il Darfur, regione nell’ovest del Sudan, dal 2003 al 2006 fu coinvolta in un grave conflitto tra l’esercito sudanese e i ribelli del Movimento di Liberazione del Sudan. Da allora le violenze sono continuate fino ai giorni nostri provocando circa 400.000 morti e quasi 3 milioni di rifugiati, dando origine a una delle più gravi crisi umanitarie dei paesi africani. Questo conflitto evidenzia cosa accade quando dei gruppi in competizione come i pastori (tribù nomadi di origine araba) e gli agricoltori (popolazioni di origine africana), combattono per risorse limitate e non ci sono istituzioni di mediazione per regolare il conflitto.

Guerre per l’acqua. Politologi ed esperti di relazioni internazionali concordano che la principale causa delle guerre future non sarà l’approvvigionamento delle risorse energetiche, ma la scarsità dell’acqua. Nel 2018 un rapporto della Banca mondiale parlava di 507 conflitti nel mondo legati al controllo delle risorse idriche. Il cambiamento climatico può comportare notevoli variazioni dell’acqua disponibile, particolarmente in aree tropicali e/o con alimentazione nivo-glaciale, questo diventa particolarmente importante in situazioni di gestione condivisa della risorsa, come si verifica in grandi bacini transnazionali (ad es. Nilo, Tigri-Eufrate, Giordano, Indo). Gli esempi più evidenti sono il conflitto arabo-israeliano (dove la spartizione e l’uso delle risorse idriche è fra le questioni chiave, ancora irrisolte, che ostacolano da decenni la pace nella regione) e la disputa decennale fra India e Pakistan, due potenze nucleari, per la regione del Kashmir, che ha un’importanza geostrategica vitale anche a causa dell’acqua che nasce dai ghiacciai dell’Himalaya.

La rotta artica. Lo scioglimento dei ghiacci sta determinando una nuova situazione geopolitica. Un Artico navigabile permetterebbe rotte marittime più brevi con rilevanti ripercussioni sul commercio mondiale e sugli equilibri geopolitici (la Cina parla di “via della seta polare”). Altra conseguenza sarebbe l’accesso allo sfruttamento di nuove risorse (specialmente petrolio, gas e terre rare). Non va poi dimenticato che le questioni legate ai diritti di pesca. Infine vi è l’aspetto militare vero e proprio, l’Artico si presta bene alla difesa, negli anni ’60 gli USA parlavano di “sentinella non pagata”, può costituire una potenziale piattaforma a costi contenuti, senza tralasciare il fatto che Usa e Russia sarebbero direttamente confinanti.

Si può concludere con le parole pronunciate, nel dicembre 2021, dal segretario generale dell’Onu António Guterres, di fronte al Consiglio di Sicurezza “La lotta ai cambiamenti climatici è cruciale per la sicurezza internazionale perché è un fattore aggravante di instabilità, conflitti e terrorismo”. https://greenreport.it/news/clima/come-e-quanto-i-cambiamenti-climatici- influenzano-il-rischio-di-conflitti-armati-video/

4.b  Disarmo climatico

Il settore militare e le attività militari sono fra le più energivore del pianeta e sono responsabili del 5-10% delle emissioni dei gas climalteranti (senza contare i costi di ricostruzione e ripristino del danno ambientale), eppure il settore militare è esente dall’obbligo di rendicontare le sue emissioni e di ridurle. Le emissioni del settore militare e delle guerre sono quindi una questione importante eppure esclusa dalla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici.

Nel 2014, in vista della COP21 di Parigi, fu promossa la campagna “Stop the Wars, Stop the Warming!”, perché “Ridurre il complesso militar-industriale e ripudiare la guerra è una condizione necessaria per salvare il clima, destinando le risorse risparmiate all’economia post-estrattiva e alla creazione di comunità resilienti”.

La Rete Italiana Pace e Disarmo, nel novembre 2021, ha pubblicato il documento “Disarmo climatico, pace, sostenibilità e futuro” dove si sottolinea che, per giungere a una giustizia climatica, bisogna denunciare il contributo dell’industria bellica e degli eserciti alla crisi climatica.

Un positivo passo avanti si è avuto nel giugno 2021 quando la NATO ha accettato di valutare la fattibilità di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050, ma la riduzione delle emissioni militari non sono state oggetto di discussione e accordo al tavolo della COP26 di Glasgow.

5.    GIUSTIZIA CLIMATICA

Come spiegato il cambiamento climatico genera ingiustizia: i paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico sono quelli che hanno contribuito meno a determinare il global warming, all’interno di ogni nazione sono i gruppi più poveri ad essere maggiormente colpiti, le generazioni future rischiano di vivere in condizioni climatiche ed ambientali peggiori di quelle odierne. Il concetto di “giustizia climatica” indica che i cambiamenti climatici costituiscono una dimensione etica e politica, e non solo ambientale. In generale, esso riconosce l’esigenza di considerare l’equità dell’impatto dei cambiamenti climatici sui cittadini e sulle comunità, e considera inadeguate le legislazioni sul cambiamento climatico che non tengano conto dei diritti delle persone e dei popoli.

Secondo i principi della giustizia climatica è responsabilità di chi contribuisce in maniera maggiore al riscaldamento globale intervenire per fermare questa crisi. I paesi industrializzati, grazie alle loro risorse, sono in grado di attuare forme di resilienza ambientale, mentre le comunità più disagiate non hanno questa possibilità. A queste popolazioni devono essere fornite risorse economiche e tecnologiche per sopravvivere agli effetti dei cambiamenti climatici.

L’accordo di Parigi (COP 21, 2015) faceva riferimento al concetto di “giustizia climatica”, ma è stato disatteso, una risoluzione del Parlamento europeo del gennaio 2018, afferma che l’UE può migliorare le strutture giuridiche e politiche a sostegno della giustizia climatica.

Nell’ultimo periodo è stato soprattutto il movimento Fridays For Future a portare avanti le istanze della giustizia climatica attraverso la campagna “Realizziamo la giustizia climatica e sociale” indicata come priorità alla COP26 di Glasgow. Per il movimento è centrale il tema dei diritti delle future generazioni che non vogliono ricevere in eredità un Pianeta danneggiato da chi ha causato il riscaldamento globale e che non ne pagherà alcun prezzo, e tutelare i territori e le fasce della popolazione più esposte alle conseguenze della crisi economica e climatica. https://www.youtube.com/watch?v=mfwSvBMzFfs

6.    INDICAZIONI per gli APPROFONDIMENTI

BIBLIOGRAFIA

Calzolaio Valerio ECOPROFUGHI. MIGRAZIONI FORZATE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI. NdA Press, 2016

Calzolaio Valerio, Pievani Telmo LIBERTA’ DI MIGRARE. Einaudi, 2016

Ghosh Amitav LA GRANDE CECITA’. IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E L‘IMPENSABILE.

BEAT, 2019

Mastrojeni Grammenos, Pasini Antonello EFFETTO SERRA, EFFETTO GUERRA. Chiarelettere, 2020

Santolini Francesca PROFUGHI DEL CLIMA. Rubettino, 2019

DOCUMENTI in RETE

Actionaid    LE MIGRAZIONI CLIMATICHE: RISCHI e SFIDE PER LE POLITICHE DI ADATTAMENTO 2021

Archivio disarmo CLIMA, MIGRAZIONI e CONFLITTI 2018

Associazione A Sud, CDCA CRISI AMBIENTALE E MIGRAZIONI FORZATE 2018 CeSPI, FOCSIV, WWF ITALIA MIGRAZIONI e CAMBIAMENTO CLIMATICO 2015

Legambiente I MIGRANTI AMBIENTALI, L’ALTRA FACCIA DELLA CRISI CLIMATICA. 2021 ORIENTAMENTI PASTORALI SUGLI SFOLLATI CLIMATICI 2021

SITOGRAFIA

https://www.worldbank.org/ https://www.unhcr.org/it/?s=cambiamenti%20climatici https://migrants-refugees.va/it/sfollati-climatici/ https://fridaysforfutureitalia.it/ https://www.cartadiroma.org/ https://openmigration.org/ https://ilbolive.unipd.it/it/valerio-calzolaio https://greenreport.it/search/migranti+climatici https://www.lifegate.it/search/migranti+climatici https://argomenti.ilsole24ore.com/climate-change.html

VIDEO

https://cri.it/2021/09/14/migrazioni-ambientali-webinar-cri-giovani-scuole/ Webinar CRI 2021

https://www.euclipa.it/2021/07/01/migrazioni-climatiche/ Webinar EuCliPa 2021 https://www.youtube.com/watch?v=QZFGN2GaVWo Videointervista a F. Santolini 2020

https://www.thezeppelin.org/chi-sono-i-migranti-climatico-ambientali-e-perche-sono- importanti/ Video (in inglese) IOM

https://www.nationalgeographic.it/televisione-e-video/2021/10/conto-alla-rovescia Dibattito Caserini-Soletti 2021

https://www.youtube.com/watch?v=6_QmGuTfkdU Orientamenti Pastorali 2021 http://www.colpodiscienza.it/societa-ambiente/dalle-origini-della-vita-ai-rifugiati- climatici-le-migrazioni-video-intervista-a-valerio-calzolaio/                      Videointervista a V.

Calzolaio 2020

https://www.youtube.com/watch?v=xpMuFkzERvY Grammenos Mastrojeni 2020

Un pensiero su “CONFLITTI e MIGRANTI, l’altra faccia della crisi climatica

Lascia un commento