Difesa Popolare Nonviolenta

Difesa Popolare Nonviolenta

Gianmarco Pisa, Istituto Italiano di Ricerca per la Pace – Corpi Civili di Pace

1.  Cosa si intende per Difesa Popolare Nonviolenta

Si tende spesso a fare confusione tra i termini in uso per designare pratiche di difesa alternative alla difesa militare: è così che locuzioni come “difesa civile”, “difesa sociale” e “difesa popolare”, in particolare “nonviolenta”, finiscono talvolta per sfiorarsi, quando non per sovrapporsi. Tuttavia, tali denominazioni non sono coincidenti. Se la difesa civile rappresenta una modalità di difesa del territorio con mezzi e strumenti civili e, di conseguenza, alternativa alla difesa militare, la difesa popolare nonviolenta costituisce un«dipiù», trattandosi di una modalità di difesa alternativa alla difesa militare, realizzata con strumenti civili, con un forte grado di consapevolezza, adesione e partecipazione a livello popolare e, in generale, con l’adozione di metodi e prassi ispirate alla nonviolenza.

2.  Premesse della costruzione della Difesa Popolare Nonviolenta

Antesignano dei Corpi di Pace, lo Shanti Sena (Esercito di Pace) rappresenta, nella visione gandhiana, l’applicazione del Satyagraha (l’azione nonviolenta basata sulla «fermezza nella verità») nella dinamica di conflitto e, per estensione, l’intervento nonviolento, realizzato da civili, animati da principi di solidarietà e di giustizia, preparati e disposti al sacrificio personale, per l’interposizione nel conflitto e la cessazione della violenza.

Lo Shanti Sena era infatti concepito come uno strumento di mobilitazionepopolare, un autentico movimento di rivendicazione di massa, animato da veri «soldati della nonviolenza», in grado di agire per il miglioramento delle condizioni sociali della popolazione dello sterminato sub-continente indiano. Non è un caso che solo dopo l’indipendenza dell’India (1948) tale Esercito di Pace iniziasse a essere concepito come un autentico Corpo di Pace, e Gandhi prefigurasse per tale organizzazione delle funzioni di vero peacekeeping nonviolento, con compiti, tra gli altri, di interposizione civile.

Tale intuizione, che va collocata all’origine della moderna riflessione per i Corpi Civili di Pace, venne proseguita dal suo successore, Vinoba Bhave, che ne formalizzò la nascita nella prima conferenza organizzativa del 1957 e, ancora dopo, da Narayan Desay, grazie alla cui direzione, dal 1962, lo Shanti Sena arrivò a contare fino a seimila membri, operando come un’organizzazione strutturata di massa in vari contesti locali.

Cosa si debba intendere per «lavoro di pace» e come lo Shanti Sena intendesse operare per l’interposizione nonviolenta e la gestione costruttiva dei conflitti, può essere illustrato con le parole dello stesso Narayan Desay, quando rimarca che «le Shanti Sena, fin dall’inizio della loro storia, si sono occupate dei conflitti tra le comunità.

«Gandhi affermò che andava organizzata un’unità di Shanti Sena per risolvere i problemi, inizialmente politici, poi anche religiosi, che si andavano creando. A Bombay, all’epoca, fu chiesto alle persone nonviolente di organizzarsi e di interporsi in situazioni di violenza». Più avanti ricorda ancora che «le Shanti Sena, in alcuni casi, … predissero e prevennero la violenza, mentre altre volte ciò non fu possibile» (L’Abate A., 2008).

Ne viene fuori il profilo di un’organizzazione popolare nonviolenta assai flessibile, adattabile, moderna, capace di fare dell’interposizione nonviolenta nei conflitti inter- comunitari il proprio compito saliente e di abbinare all’efficacia dell’intervento la capacità di allerta preventiva. La sua forza è stata quella di costruire un processo sociale di tipo nonviolento attraverso un’organizzazione di massa, capace di lavorare, con i principi e gli strumenti propri della nonviolenza, sulle cause dell’ingiustizia, sulle matrici (strutturale e culturale) e sui presupposti della violenza che sono all’origine dei conflitti.

Fu proprio per superare il limite intrinseco alla loro stessa istituzione, di agire cioè prevalentemente a livello locale, che, dal 1961, alcuni attivisti dello Shanti Sena (tra cui Jayaprakash Narayan e Michael Scott) decisero la costituzione di vere e proprie «World Peace Brigades» (Brigate Internazionali di Pace), attive in particolare tra il 1962 e il 1965 per promuovere la nonviolenza e i principi della trasformazione costruttiva dei conflitti in diversi contesti di lotte di liberazione, specie tra i movimenti di emancipazione coloniale. Tali Brigate, ispirate dalla lezione nonviolenta e costituite sulla scorta delle formazioni gandhiane, erano concepite come «organizzazione di pari» e operavano come gruppo orizzontale, in grado di agire a livello di base in diversi contesti di conflitto.

All’atto della formazione, le PBI («Peace Brigades International»), che di quella comunità rappresentano l’evoluzione, indicarono, nella conferenza di Grindstone Island, in Canada (1981), di volere costituire «un’organizzazione con la capacità di mobilitare volontari formati in aree di tensione, per prevenire focolai di violenza. Queste Brigate di Pace, concepite per rispondere a bisogni e appelli specifici,si attiveranno in missioni non- partigiane che possano includere iniziative di pacificazione, mantenimento nonviolento della pace e servizio civile umanitario; esse si costituiscono sulla base di un patrimonio di azioni nonviolente: tale impegno … può fare la differenza negli affari umani».

Ancora oggi, il lavoro teorico e pratico sulla Difesa Popolare Nonviolenta (DPN), forte della lezione gandhiana e temprato dalle sperimentazioni, nel corso dei decenni, messe in campo, in particolare, dalle PBI, da Nonviolent Peaceforce (NP) e altre, trova nella nonviolenza il proprio ancoraggio teorico e morale e nella ricerca-azione una delle proprie condizioni di lavoro fondamentali. Sulla scorta di tali presupposti gandhiani, sotto la spinta delle lotte nonviolente delle organizzazioni antimilitariste e disarmiste e sulla base della spinta morale al ripudio della guerra, fu approvata in Italia per la prima volta, il 15 dicembre 1972, la legge n. 772 recante le «Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza», che sancisce il diritto all’obiezione di coscienza per motivi morali, religiosi e filosofici ed istituisce il servizio civile sostitutivo del servizio militare.

Il principio generale viene qui riconosciuto all’art. 1 che stabilisce che «gli obbligati alla leva che dichiarino di essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza, possono essere ammessi a soddisfare l’obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla presente legge. I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto». Gli ambiti di impegno sono invece stabiliti, all’art. 5, «presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela ed incremento del patrimonio forestale».

Successivamente, due sentenze della Corte costituzionale (n. 164 del 1985 e n. 228 del 2004) hanno sancito che il dovere costituzionale della Difesa della Patria può essere svolto in maniera equivalente con servizio militare o con un servizio diverso/alternativo alla difesa militare. In particolare, parificando la durata dei due servizi, militare e civile, si incrementò la domanda di adesione al servizio civile da parte di enti ed associazioni. Con il DPCM del 18 febbraio 2004 è stato poi istituito presso la Presidenza del Consiglio il Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta (DCNAN) «con il compito di elaborare analisi, predisporre rapporti, promuovere iniziative di confronto e ricerca al fine di individuare indirizzi e strategie di cui l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile possa tenere conto nella predisposizione di forme di difesacivilenon armata e nonviolenta».

L’eredità più recente di tale innovazione normativa è l’istituzione, con il decreto legislativo n. 40 del 6 marzo 2017, del Servizio Civile Universale, concepito come la «scelta volontaria di dedicare alcuni mesidellapropria vita al servizio di difesa, nonarmata enonviolenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, attraverso azioni per le comunità e per il territorio».

Non va dimenticato che, quando si parla di DPN, si intende sia un concetto di difesa della popolazione basato sui principi della nonviolenza ed alternativo al militare, sia una pratica di difesa dalla violenza e di prevenzione costruttiva dei conflitti armati che va continuamente aggiornata e approfondita, derivando dalle lezioni teoriche i contenuti di intervento e dalle pratiche di azione le acquisizioni da generalizzare ed implementare.

Questo spiega, da un lato, il riferimento alla metodologia della ricerca-azione, dall’altro, il legame tra la Difesa Popolare Nonviolenta e le odierne sperimentazioni in termini di Interventi Civili di Pace e di Corpi Civili di Pace. Nel corso degli anni Novanta, dopo la fine della contrapposizione bipolare tra le due superpotenze, la DPN sembrò trovare una sua seconda primavera, grazie soprattutto alle rivendicazioni dei movimenti popolari e alla ispirazione nonviolenta di una parte importante di quei movimenti, per la pace e il disarmo, che avevano salutato, nella fine del cosiddetto «equilibrio del terrore», l’avvento di una auspicata o presunta epoca di «dividendi della pace».

3.  Forme e pratiche di demilitarizzazione

Oggi, alcuni Stati mantengono un proprio strumento di difesa, o attraverso corpi di polizia, o attraverso accordi di protezione militare con Stati o Organizzazioni terze, capace di fare a meno di vere e proprie Forze Armate. Ciò non significa, d’altro canto, che vi sia una vera e propria relazione tra queste forme di demilitarizzazione dell’apparato di sicurezza e ciò che va sotto la definizione di Difesa Popolare Nonviolenta. A differenza della difesa civile, infatti, la DPN non rappresenta semplicemente una modalità di «difesa senza armi», bensì un’alternativa al consueto modello militare di difesa, basato su tre connotati: a) il carattere eminentemente difensivo della difesa; b) l’ancoraggio essenziale alla nonviolenza (come criterio, metodo e pratica); c) l’adesione, il radicamento e il coinvolgimento popolare.

Pertanto, a parte una serie di cosiddetti micro-Stati, è essenzialmente in tre contesti nazionali che è possibile ravvisare una qualche relazione tra l’assenza di Forze Armate e la pratica della DPN: il Costarica (ha abolito l’esercito nel 1949, si è dichiarato neutrale dal 1983, si dota esclusivamente di forze di polizia per compiti di sicurezza); Mauritius (dotato, dal 1968, solo di una forza di polizia militare); Panama (ha abolito le forze armate nel 1990 e sancito quindi tale configurazione con modifica costituzionale nel 1994).

In generale, al di là dei singoli contesti, un sistema di sicurezza è coerente con il mandato e il profilo della DPN nella misura in cui si fonda sulla centralità del principio della sicurezza umana e si dota di compiti esclusivamente difensivi, ispirati alla nonviolenza, orientati alla difesadellapopolazione e alla prevenzione dei conflitti armati.

4.  L’orizzonte europeo della gestione delle crisi

Nel suo appello «L’Europa muore o rinasce a Sarajevo» (1995), Alexander Langer elencava le idee-guida dell’elaborazione dei Corpi di Pace Europei:

  • il valore del diritto;
  • l’offerta dell’integrazione: più che qualunque … piano di pace, funziona il semplice invito «vieni con noi, unitevi a noi»;
  • massimo sostegno a chi decide di dialogare e a chi sa reintegrare: […] per sostenere le forze del dialogo e della ricerca di soluzioni comuni;
  • massimo sostegno alle reti che ricostruiscono legami: dai network di studenti e di professori ai comitati per i diritti umani;
  • la prevenzione del conflitto: situazioni di pre-guerra, dove l’esplosione violenta del conflitto può essere evitata […] ma dove occorre concentrare grande attenzione, forte presenza internazionale e intensa opera civile (Langer A., 1995).

A livello europeo, sebbene il dibattito sull’argomento dati almeno al 1995, a seguito dell’assise comunitaria dedicata al tema dei Corpi Civili di Pace e sostenuta, all’epoca, dallo sforzo di Alex Langer ed Ernst Gülcher, passi avanti significativi sono stati fatti solo dal 1999: prima con l’approvazione di due importanti risoluzioni (la raccomandazione del Parlamento Europeo del 10 Febbraio 1999 sulla istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo e la risoluzione del Parlamento Europeo sulla comunicazione della Commissione Europea del 13 Dicembre 2001 per la istituzione di un Corpo Civile di Pace nell’ambito del Meccanismo di Reazione Rapida); quindi con la redazione di due studi di fattibilità, il primo del Parlamento Europeo (2004) On the European Civil Peace Corps e il secondo della Commissione Europea (2005) On the Establishment of a European Civil Peace Corp.

La Commissione Europea, dopo avere dilazionato l’ipotesi di costituire un Corpo Civile di Pace, ha effettuato nel 2006 uno studio di fattibilità cui, tuttavia, non ha fatto seguito alcuno sviluppo effettivo né alcuna indicazione operativa agli Stati membri. Ad oggi, nell’ambito del peacebuilding europeo, gli obiettivi fondamentali sono i seguenti:

  1. prevenire i conflitti violenti;
  2. rafforzare le capacità di prevenzione e
  3. professionalizzare i contingenti di intervento.

5.  La percezione del corpo sociale secondo la Difesa Popolare Nonviolenta

La DPN, in quanto attivazione di un principio di sicurezza collettiva basato sulla sicurezza umana e la partecipazione attiva della cittadinanza, presuppone un processo di responsabilizzazione della società civile: responsabilizzazione che, se da un lato serve ad alimentare la mobilitazione difensiva che, meglio della “chiamata alle armi” militare, può concorrere alla difesa e alla tutela del territorio e della popolazione, rappresenta, dall’altro, anche la condizione essenziale per una efficace prevenzione della violenza.

Vi è qui una delle differenze di fondo tra la difesa militare e la difesa nonviolenta. La prima presuppone una società civile che delega, affidando un mandato alla tecnica e all’esercito professionale quale tutore dell’ordine, attivatore della forza armata sia all’interno sia all’esterno dei confini nazionali e artefice della repressione, più che della prevenzione della violenza. La seconda, la difesa nonviolenta, si basa sulla responsabilità e la partecipazione, rifiuta la delega e la separazione della difesa, dal momento che è il corpo sociale in quanto tale, addestrato e preparato con metodi e tecniche non militari e nonviolente, a doversi mobilitare per la difesa del territorio e della popolazione.

Inoltre, la DPN interroga profondamente la responsabilità della società civile e degli operatori nonviolenti in termini di vera e propria responsabilità sociale. Nella sintesi di Enrico Peyretti: «La nonviolenza è un impegno e una lotta libera dall’ossessione e dall’ideologia della vittoria, la quale è consustanziale all’ideologia della violenza, perché dovere e volere vincere a ogni costo trascina a fare violenza. Questo far conto sull’efficacia della nonviolenza, che sempre testimonia la pace anche quando è sconfitta, non è affatto «fondamentalismo pacifista», non è «esaltazione a basso costo del martirio», né «l’esporsi masochisticamente al danno della guerra» da parte di «esaltatori del martirio», quando figure di un simile autolesionismo sacrificale sono tipiche della mitologia violenta, fino alla figura tristemente attuale dell’attentatore suicida-omicida» (Peyretti E., 2012).

6.  Buone prassi per la Difesa Popolare Nonviolenta e i Corpi Civili di Pace

L’agenda fissata dal Consiglio UE (2005) individua cinque focus dell’iniziativa di peacekeeping a livello europeo, a loro volta sintetizzabili in tre linee-guida:

  1. definire una “filiera della pace” (con una vera e propria «infrastruttura per il peacebuilding», a livello sociale e istituzionale, una struttura centrale e fondi stabiliti per garantire continuità, sostenibilità ed efficacia agli interventi e alle azioni civili di pace);
  2. realizzare un istituto di coordinamento delle azioni civili di gestione dei conflitti;
  3. consolidare una “comunità di pratiche” ed una letteratura esperienziale nel settore, sperimentando progetti di intervento civile sul campo, in Italia, ad esempio, a partire dal quadro normativo disposto dalla legge 125 del 11 agosto 2014 (nuova disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo) e dalla legge 180 del 6 febbraio 1992 (partecipazione dell’Italia alle iniziative di pace e umanitarie in sede internazionale).

In relazione ancora agli strumenti della DPN, se resta aperto, tra le espressioni di società civile, il dibattito circa la denominazione, il mandato e la cooperazione con altri attori (civili/militari) dell’intervento internazionale, altrettanto in corso d’opera è la riflessione circa la figura professionale, non essendo ancora stabilita una denominazione condivisa (la più diffusa è quella di «operatore/operatrice di pace»), né essendo stata avanzata una proposta specifica intorno alla coerente definizione del profilo professionale sulla base delle fasi della escalation ovvero degli ambiti di intervento. Se dei Corpi di Pace sono noti i compiti, non sono ancora precisamente definiti né il mandato né gli ambiti. Per quanto riguarda questi ultimi, in particolare, essi possono essere identificati nei seguenti:

  1. sicurezzaumana:accompagnamento,protezione civile,tuteladeisoggettideboli/esposti;
  2. lavoro di pace: ricostruzione della fiducia e della comunità, educazione e capacitazione;
  3. diritti umani: tutela dei diritti umani, monitoraggio civile ed elettorale, stato di diritto.

Nell’ambito della DPN, il Corpo Civile di Pace resta quindi definito come un contingente civile composto da personale non armato impegnato in contesti di conflitto, con un mandato che dipende sia dai livelli di escalation della violenza, sia dai compiti attinenti al contesto. Il contingente è composto da personale volontario e professionista, sulla scorta di un percorso formativo opportunamente calibrato che preveda una formazione di base a contenuti trasversali quale nucleo di riferimento e una formazione specifica a contenuti tematici, proiettati sulla funzione, lungo le tre dette macro-aree.

Perché diventino pratiche condivise a livello di massa, dunque, le metodologie e le attivazioni della Difesa Popolare Nonviolenta non possono che seguire tre strade: partecipazione, conoscenza e formazione. Serve conoscere quanto l’azione diretta nonviolenta abbia saputo fare, nella storia, per prevenire i conflitti armati, conseguire soluzioni pacifiche e rafforzare la democrazia. E serve formarsi alle tecniche dell’azione diretta e della risoluzione nonviolenta dei conflitti, per acquisire strumenti concreti ed assumere uno sguardo positivo alla trasformazione dei conflitti con mezzi nonviolenti.

7.  Suggerimenti bibliografici

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (a cura di), Caschi bianchi oltre le vendette, Sempre Editore – Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, 2014.

AlbertoL’Abate-LorenzoPorta, L’Europa e i conflitti armati. Prevenzione, difesa nonviolenta e corpi civili di pace, Firenze University Press, Firenze, 2008.

Antonio Lombardi, Satyagraha. Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta, Dissensi Edizioni, Viareggio, 2014.

Gianmarco Pisa, Corpi Civili di Pace in Azione, Ad est dell’equatore, Napoli, 2013.

Matteo Soccio (a cura di), La prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei Corpi Civili di Pace, Edizioni Casa per la Pace, Casa per la Pace, Vicenza, 2012.

Claudio Pozzi, Uno spicchio di cielo dietro le sbarre. Diario dal carcere di un obiettore di coscienza al servizio militare negli anni ‘70, Centro Gandhi Edizioni, Pisa, 2019.

Pat Patfoort, Difendersi senza aggredire, Pisa University Press, Pisa, 2012.

Antonino Drago, Interposizione Popolare Nonviolenta e Peacekeeping dell’ONU, Scienze per la Pace, Pisa, 2010-2011: reteccp.org/biblioteca/disponibili/ccp/drago/drago.html.

Johan Galtung, La trasformazione dei conflitti con mezzi pacifici (Metodo TRANSCEND), UN Disaster Management Training Programme, Centro Studi Sereno Regis, Torino, 2006: serenoregis.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2015/12/Johan-Galtung- La-trasformazione-dei-conflitti-con-mezzi-pacifici-web.pdf.

Per una panoramica, si rimanda al numero monografico di Azione Nonviolenta, anno 49,

n. 588, dicembre 2012, dedicato a «Interventi e corpi civili di pace», disponibile al sito: www.pacedifesa.org/public/documents/AN%20completo%20dic%2012.pdf.

Per una cronologia, con rimandi ai testi di legge e ai documenti di riferimento, si rimanda alla pagina istituzionale «Dall’Obiezione di Coscienza al Servizio Civile Universale»: www.politichegiovanili.gov.it/servizio-civile/storia nonché alla pagina, non istituzionale, con ampia raccolta di documenti e testimonianze: www.obiezionedicoscienza.org

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