Munizioni italiane nella repressione in Myanmar: Rete Pace Disarmo chiede un’indagine
Possibile una triangolazione favorita da altri Paesi, necessario un controllo sulle munizioni e l’estensione a tutte le armi, anche comuni, dei criteri e regole della Legge 185/90
Nelle ultime ore diverse notizie di stampa e testimonianze di esperti internazionali hanno riportato la notizia del ritrovamento di bossoli di fabbricazione italiana negli episodi di violenza scaturiti dal colpo di Stato in atto in Myanmar. Queste munizioni sarebbero state utilizzate dalle forze governative per un assalto rivolto ad una ambulanza, quindi in un contesto di ovvia violazione di diritti civili e di rafforzamento dell’autoritarismo dei militari dello Stato asiatico.
Rete italiana Pace e Disarmo sottolinea la forte problematicità di tale ritrovamento e si associa alla necessità – già ribadito anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – di fermare i flussi di armamenti verso il Myanmar, ricordando che già dagli anni ’90 è in atto un embargo totale europeo sulle armi. La nostra Rete sostiene inoltre gli sforzi nonviolenti della popolazione e della società civile birmana che sta cercando di opporsi all’ennesima svolta autoritaria nel Paese decisa dai vertici militari.
Per la RIPD è ora importante che si possa chiarire quale sia stato il percorso delle munizioni prodotte dall’azienda Cheddite srl di Livorno (che ha smentito qualsiasi fornitura diretta) per giungere in Myanmar, considerando che effettivamente vendite dirette non appaiono possibili proprio la luce dell’embargo già citato. E’ dunque del tutto plausibile una “triangolazione” favorita da altri Paesi destinatari delle vendite della Cheddite srl, che produce principalmente cartucce da caccia e tiro oltre che bossoli e inneschi.
“Da un attento esame delle Relazioni governative sull’export di armi militari e dei dati ISTAT sul commercio estero non risultano dal 1990 al settembre scorso esportazioni dall’Italia alla Birmania (Myanmar) di “armi e munizioni” – evidenzia Giorgio Beretta, analista della RIPD e dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia. “Va segnalato che l’Unione europea ha stabilito già dal luglio del 1991 diverse forme di divieto e di embargo sulle armi e munizioni nei confronti della Birmania. Considerato il ritrovamento a Yangon di bossoli di produzione italiana di munizioni che diventa necessario, da parte delle autorità italiane competenti, un attento esame delle esportazioni di munizioni effettuate dalla azienda in questione per verificare se siano state in qualche modo esportate illegalmente o riesportate da Paesi terzi senza la necessaria autorizzazione da parte dell’Italia”.
L’unica citazione dell’azienda presente nelle Relazioni annuali al Parlamento sull’export militare (previste dalla Legge 185/90) si trova in quella relativa all’anno 2014 (pubblicata il 30 marzo del 2015) e che riporta l’iscrizione della Cheddite srl nel Registro delle imprese autorizzate all’esportazione (ottobre 2014). Non risulta però poi alcuna richiesta di licenza da parte dell’azienda negli anni successivi, il che significa che tutte le esportazioni sono state effettuate con le procedure previste da altre norme (relative all’export di armi e munizioni “comuni”, non di tipo militare) sicuramente meno trasparenti e con più possibilità anche di aggiramento successivo da parte dei destinatari, come sembra dimostrare la “triangolazione” verificatasi in questo caso.
“Da tempo sosteniamo come le munizioni debbano essere considerate allo stesso livello delle armi leggere per il loro impatto devastante – sottolinea Francesco Vignarca coordinatore delle campagne di RIPD – perché quando nascono situazioni di conflitto, di tensione, di repressione è proprio il flusso di pallottole e munizioni ad essere il primo da fermare se l’obiettivo è quello di ridurre gli scontri. Ricordiamo inoltre che è attivo, con l’Italia partecipante, anche un “Programma d’azione ONU per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro” che purtroppo a causa della posizione molti Paesi succubi delle lobby armiere, come si è visto anche nella Conferenza di Revisione del 2018 a cui esperti della nostra Rete hanno partecipato, non comprende e considera nel proprio ambito di applicazione le munizioni”.
In virtù degli elementi raccolti la Rete Italiana Pace e Disarmo chiede a Governo e Parlamento:
- aprire una indagine completa e approfondita (che con richiesta di informazioni da parte parlamentare) al fine di capire sotto quale normativa e con quali procedure siano stati autorizzati all’esportazione i lotti relativi alle cartucce trovate in Myanmar
- inserire tutte le esportazioni di armi e munizioni sotto le procedure previste dalla Legge 185/90 senza fare distinzioni tra armi comuni e militari come avviene al momento
- promuovere da parte dell’Italia un’azione più concreta e decisa a livello internazionale (Unione Europea e Nazioni Unite) per mettere sotto controllo i flussi relativi al commercio di munizioni e munizionamento di tutte le tipologie